
| Patti
Smith
Just Kids
[Feltrinelli] pp.293
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Le "ghost stories" di Patti Smith partono per ricordare quell'anima gemella
e complice che condivise con lei la fame e l'ambizione nell'essere artisti, ovvero
Robert Mapplethorpe, e finiscono per disegnare per l'ennesima volta una
mappa di una New York effervescente, florida, vitale e sognante. L'elenco dei
caduti sul terreno (Jim Carroll, Andy Warhol, Richard Sohl, Fred Smith, Allen
Ginsberg e William Burroughs tra gli altri) non deve trarre in inganno perché
il tono volutamente elegiaco di Just Kids è, alla fine, un inno
alla creatività, alla libertà, alla strada e a una città più immaginata che vissuta.
Patti Smith c'è sempre e i nomi che rilegge nei suoi diari (Just Kids va dalla
sua infanzia nella provincia del New Jersey a Horses, copertina di Robert Mapplethorpe,
va ricordato) girano attorno a NYC e alla scrittura e all'arte come falene impazzite.
Lei per prima deve avere il complesso della sopravvissuta, una specie di sindrome
di Stoccolma di chi, per dirla con l'amatissimo Dylan (Bob), è rimasto un giorno
di troppo ostaggio della città e dei suoi fantasmi. Va detto però che attraversa
la galleria del passato e i ritratti degli scomparsi appesi alle pareti (sarà
un corridoio del Chelsea Hotel, per comodità) come se fosse un anfitrione appassionato,
raccontando con grazia, ma senza paura di niente, una vita spesa inseguendo il
sogno dell'arte e fuggendo la noia della normalità e l'incombenza repentina della
morte. Al fondo, sincero e toccante. | |  |
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Bill
Janovitz
Exile On Main St.
[Il
Saggiatore] pp.202
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Per inoltrarsi nel complesso paludoso e umidiccio di Exile On Main St. Bill
Janovitz sceglie lo scontro frontale, nel senso che parte dalla copertina
e non dai dischi, da Robert Frank e non dai Rolling Stones, dalle immagini e non
dalle canzoni. Trattandosi di materia incandescente l'azzardo può sembrare spericolato
invece è proprio così che Bill Janovitz va dritto sul bersaglio, nel cuore di
quello che è veramente Exile: una monumentale rincorsa ai fantasmi di un passato
che non vuole passare. Come la copertina dell'originale vinile (poi ripescato
per l'occasione) che si apriva allargando le sue ali, così Bill Janovitz usa quella
visione per introdurre e poi chiudere il suo racconto di Exile. Tra l'inizio e
la fine deve esserci l'azione e infatti Bill Janovitz nel mezzo dedica un paragrafo
per ognuna delle canzoni che compongono Exile, senza lasciarsi sfuggire un dettaglio.
Pur sottolineando le molteplici connessioni umane e culturali che diedero linfa
e respiro a Exile, Bill Janovitz non perde mai di vista la villa di Nellcote e
l'essenza dei Rolling Stones: nel gioco delle maschere, nella faida infinita tra
i Glimmer Twins, nel dubbio tra tradizione e rivoluzione, nel caos dell'esilio
e del rock'n'roll, mette in un angolo la mitologia e le leggende e sceglie di
raccontare quello che, come tutti noi, ha sentito (o visto) senza aver vissuto.
E, proprio come le fotografie di Robert Frank, la sua storia di Exile è in bianco
e nero (la vera estetica del rock'n'roll), bella e avvincente..
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Craig
Silvey
Jasper Jones
[Neri
Pozza]
pp.332
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"Ho un tamburo in testa. Bum bum bum. E' così difficile respirare in questa radura.
Qualcosa è cambiato. La bolla è esplosa": sono questi i pensieri che agitano la
cupa notte d'estate di Charlie, un ragazzo che ama Mark Twain, William Faulkner
e Flannery O'Connor (belle letture). Lì in una radura spettrale, in riva a un
fiume, con le parole che gli rimbalzano nel cervello, l'ha portato Jasper
Jones, un giovane emarginato che ha scoperto la morte di Laura
Wishart. L'ha trovata così, senza vita, e sa già che per tutti il colpevole sarà
lui, almeno quanto sa di essere innocente e di non avere né le parole né le storie
per dirlo. Per questo chiede aiuto a Charlie il quale capisce che non ha scelta
perché, come racconta l'australiano Craig Silvey "succede in un attimo.
Come quando ti rendi conto per la prima volta che la magia non esiste. O che niente
esaudisce le tue preghiere o ti ascolta davvero. Quel gelido momento di sconforto,
quando ti manca il terreno sotto i piedi, quando vieni disarmato da una scheggia
di consapevolezza". In un'atmosfera degna di Twin Peaks (anche il nome della vittima
induce in tentazione) Jasper Jones sarà il parafulmine che attira tutti i lampi
e i temporali di una smalltown dove "la gente si sorbisce qualsiasi sbobba se
gliela servi nel modo giusto" e scoprire la verità sarà un missione impossibile,
quasi quanto diventare grandi. Un bel romanzo, non ineccepibile ma, come dire,
che affonda nelle nostre stesse radici.
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Maurice
James Jimi
Hendrix. The Guitar Experience
[Auditorium]
pp.128
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Bisogna dire che nel diluvio delle pubblicazioni che hanno preceduto il fatidico
anniversario, questo agile Bignami hendrixiano sembra avere un aspetto provocatorio,
in tutta la sua sintetica normalità. In effetti su Jimi Hendrix è stato scritto
e pubblicata una bibliografia sconsiderata, tenuto conto che la sua biografia
e sua carriera sono state (per sfortuna) fin troppo brevi. Dagli album fotografici
agli scrapbook, dai manuali chitarristici alle retrospettive non manca nulla sulla
parte dello scaffale dedicata a Jimi Hendrix e purtroppo si sprecano in tanta
attenzione teorie, analisi, esegesi che ormai riguardano più la sua leggenda che
la sua musica (e questo vale anche per Jim Morrison, solo che l'appuntamento è
per l'anno prossimo). Maurice James, con la coscienza di chi non viene
da un altro pianeta, con molta semplicità ha capito che mancava un piccolo libro
che presentasse Hendrix in poche parole (saranno un centinaio di pagine), cercando
di essere esaurienti pur con la certezza di non essere esaustivi. Senza andare
troppo nei dettagli, però raccontando, in breve, tutto quello che serve sapere,
The Guitar Experience è uno scarno riassunto utile per un ripasso
e un rapido sguardo d'insieme per chi vuole cominciare una conoscenza un po' più
profonda di Hendrix. Se poi, come è facile, scatta la passione c'è soltanto l'imbarazzo
della scelta (e quest'anno, va da sé, persino qualcosa in più).
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