Jimmie
Vaughan Plays
More Blues, Ballads & Favorites
[Proper 2011]
Chi ha detto che le cose belle non valga la pena ripeterle? Jimmie Vaughan
si è talmente convinto della bontà del suo Plays Blues Ballads and Favorites,
esordio internazionale per la Proper del 2009, che ne ha subito approntato un
secondo volume, richiamando la stessa backing band e naturalmente la partner vocale
Lou Ann Barton, che già si era fatta notare in qualche episodio del predecessore.
Semplicemente Plays More Blues, Ballads & Favorites aggiunge altri
sedici tacce selezionate dal più oscuro rhythm n blues e jump blues a cavallo
fra gli anni 50 e 60, certificando la preparazione del buon Jimmie, da sempre
il fratello più saggio e discreto del grande e compianto Stevie, come cultore
del recupero della memoria blues. Non sarò io a rovinare la festa, anche se è
evidente che la freschezza e la sorpresa del primo capitolo non si possono ripetere,
ma se amate il revival fatto con gusto, un blues suonato senza mai eccedere in
protagonismi, ma tutto concebtrato sul groove, il ritmo e le intersezioni tra
chitarre, fiati e organo allora Jimmie Vaughan e combriccola vi faranno passare
quasi un'ora di puro divertimento.
Le qualità del musicista le conosciamo:
ha inciso poco da solista, ma ha lasciato il segno in quanto a moderazione. La
sua sei corde è a dir poco minimale: sound secco, decisamente vintage, che ricalca
maestri come T Bone Walker o Pee Wee Crayton, assoli concisi e pensati in funzione
della canzone, che giocano di rimpallo con la sezione fiati. Certo è un peccato
che Jimmie non abbia proseguito sul bellissimo sentiero "moderno" di un album
come Strange Pleasure (il suo esordio ancora oggi imbattuto) preferendo giocare
facile con il passato. Non possiamo fargliene una colpa eccessiva, se poi i risultati
sono quelli di Plays More Blues, Ballads & Favorites, un disco che certamente
non cambierà le sorti del musicista e tanto meno del genere, ma servirà forse
come trampolino per qualche concerto infuocato nel suo amato Texas. Qui a farla
da padrone, come si è in qualche modo anticipato, è certo jump blues che raramente
sconfina nel più classico suono elettrico di Chicago: si preferiscono ritmi più
scanzonati, molto swing, omaggiando un grande e dimenticato come Big Joe Turner
ad esempio, una sorta di preistoria del rock'n'roll.
Tra le rarità ripescate
una Rains Came che già apparteneva al repertorio
di Doug Sahm (il quale aveva inciso un paio di operazioni simili negli anni 90),
oppure No Use Knocking e
I Ain't Gonna Do It No More di Bobby Charles, altro grande southern
man scomparso. Anche Ray Charles (lo strumentale Greenbacks
) e Hank Williams (I Hang My Head and Cry
faceva parte delle sue incisioni, anche se qui proposta ovviamente in veste black)
sono della partita, mentre It's Been a Long Time
e I'm In The Mood For You, quest'ultima con
la voce della Barton in evidenza, viaggiano verso New Orleans e la tradizione
r&b cittadina. Lou Ann Barton spalleggia alla grande Jimmie Vaughan in altre due
tracce: Breaking Up Is Hard To Do, duetto
romantico, e nella chiusura dal vivo con Shake a Hand.
Un vero party record si sarebbe detto un tempo e d'altronde Vaughan lo ha concepito
proprio così, senza troppe riflessioni: piazzava un vecchio 45 giri sullo stereo,
ne rimaneva conquistato e il giorno dopo si presentava in studio dalla band con
la sua richiesta. Un paio di take e il gioco era fatto. (Davide Albini)