A ventun’anni dalla sua scomparsa, la grande artista di
Tryon (North Carolina) continua ad ispirare il repertorio delle più disparate
interpreti, che in lei trovano vari riferimenti musicali e ampiamente
espressivi. Anche nel titolo, questo album, pubblicato originariamente
nel 1985 dalla VPI, rappresentava un tentativo di risalire la china, a
tre anni dall’uscita dall’apprezzabile, pur disomogeneo Fodder on My
Wings. Quest’ultimo, frutto di un suo approdo in Francia, quando era
ancora alla ricerca di sicurezza dopo il controverso risultato di Baltimore
(‘78); qui, Fodder è ripreso in una buona versione (con qualche
effetto Tubular Bells).
In questa ristampa la copertina, che nell’originale giocava sul doppio
significato dell’immagine della sua schiena e del suo ritorno vinilico,
ne propone il disegno del volto: di profilo e spruzzato da vivaci, festosi
colori (simil “wharoliani”). Insomma, una Nina Simone, che all’epoca
non sta vivendo anni facili, e spera in risultati – anche di ritorno economico
-, che ne riaffermino le capacità di raggiungere un più vasto pubblico
(li ritroverà, soprattutto in Europa, un paio d’anni dopo col jingle My
Baby Just Cares For Me). Questo seppure, in varie occasioni, esprime
la sua disapprovazione per alcune delle tendenze musicali in voga.
In casa VPI (Antony Sannucci & Eddie Singleton), cercano di offrire un
clima di attualità al disco, proprio per renderlo adatto al vorticoso
“cambiamento stilistico” del mercato. Così lo alimentano con vari ingredienti
e arrangiamenti “à la page” che, già a partire dai ‘70, riguardano anche
la musica nera, tecno-funk compreso, ma pure il rock e soprattutto il
pop. Ne deriva un’immersione nel sound elettro-sintetico, con qualche
passaggio melodico, come la rivisitazione di I Loves You, Porgy
(qui semplicemente Porgy), una delle sue prime incisioni ad inizio
carriera (‘57): nell’introduzione lei fa una breve presentazione di quel
ricordo. Di taglio medio-ritmico è invece il successivo Saratoga,
così come It’s Cold Out Here, descrittivo brano di apertura. Mentre
lo slow For A While, sostenuto dagli archi e dalle tastiere, sposa
il pop sentimentale.
Come accennato, vari altri passaggi si basano su un forte tasso ritmico:
ma per l’allora cinquantenne artista è una forma di “lifting” non molto
riuscita. Tra questi, Touching and Caring (dance-pop) e You
Must Have Another Lover (tecno-funk stile ‘80s, con sottolineatura
r&b del sax). Nell’insieme, dunque, il cocktail funziona solo a sprazzi,
come con la già citata Fodder e con la vivace I Sing Just To
Know I’m Alive (dichiarazione d’intenti...). L’album si conclude col
frizzante You Must Have Another Lover che, inseguendo il tecno-funky
di Stevie Wonder, può attivare le articolazioni intorpidite (ma l’ex-ragazzino
prodigio della Motown è altra cosa…).
La scarna copertina non riporta i nomi degli autori dei brani, mentre
appaiono quelli degli strumentisti e del gruppo coristico, che fanno bene
il loro “sporco lavoro”. Insomma, un disco forse adatto al tempo della
pubblicazione, ma non rappresentativo della sua vera, pur policromatica
arte.