Moreland
& Arbuckle
1861
[Northern Blues 2008]
E' una triangolazione tra Canada, Kansas e Mississippi che giunge al tanto
atteso risultato di questo nuovo disco del 2008, per un trio che alla scorsa edizione
del Rootsway Festival parmense, tra i migliori concerti di vero blues a cui si
possa assistere in Italia, si è mostrato in azione sul palco di Gramignazzo di
Sissa. La voce si è sparsa come nella più viva delle tradizioni orali, ove chi
presente non fosse (e i più raccontano di un'incredibile jam a sorpresa con Angelo
"Leadbelly" Rossi in chiusura) potesse poi provvedere all'ascolto del lavoro qui
recensito, tale 1861. Onori quindi alla canadese Northern Blues
per la promozione dei nuovi artisti, da uno stato riconosciuto come tale proprio
alla data del titolo (il Kansas), ma che sembra lontano dall'aver dato i natali
a un sound come questo, in odore piuttosto di colline "nordmississippiane".
Il pellegrinaggio nei luoghi dove tutto è cominciato allora (il Mississippi)
per Aaron Moreland e Dustin Arbuckle non poteva mancare, e vi hanno
provveduto nel 2003. Da qui le influenze più vive che mai in un groove solcato
di Profondo Sud, che unisce a coloriture Fat Possum cenni di southern rock e brezze
di "Prateria", quella di chi piega la carta degli USA e in mezzo non può trovarci
che il Kansas, davvero, come direbbe William Least-Heat Moon. A metà strada da
tutto, e forse anche nella giusta distanza commisurata agli strumenti nei brani,
in quell'equilibrio che genera un azzeccatissimo impasto sonoro con la voce bianca
ma possente, e che include spettri di rock'n'roll in grezze similitudini di blues.
Come quella ferroviaria che sbuffa fin dall'apertura di Gonna
Send Ya Back To Georgia a sferragliare fin nell'acustica Never
Far Behind, inframmezzata dall'elettricità di un blues come See
My Jumper Hangin'Out On The Line, nel tramite sonoro tra l'armonica
di Arbuckle, la chitarra di Moreland e la batteria di Brad Horner come
fosse un one-man band show, genuino e stradaiolo. Con grande semplicità
i tre articolano dinamiche sonore rurali con o senza spina, aprendo soltanto i
microfoni nel delicato soffio & picking style di Tell
Me Why, ipnotica ed uggiosa, o in Teasin'
Doney nella medesima vena artistica, sì come nei vertici d'impareggiabile
delicatezza bucolica all'aurorale Wrong I Do.
Poi alzano il volume fino alla saturazione, e la ruvida Pittsburgh
In The Morning, Philadelphia At Night trasforma la veranda di un giorno
di pioggia in un sudicio e fumoso juke-joint nella notte del Delta. Non c'è nulla
da capire (se non in quella Legend dalla retorica
western un po' fuori luogo) di quel che rimane di blues, southern o rock'n'roll
nei residui di Fishin' Hole o in Diamond
Ring, impreziosita dall'organo. Quanto basta è in questa manciata di
canzoni, chiare come l'acqua alle sorgenti del fiume.
(Matteo Fratti) www.kingsnakesblues.com/home
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