inserito 21/04/2008

Moreland & Arbuckle
1861
[Northern Blues 2008]



E' una triangolazione tra Canada, Kansas e Mississippi che giunge al tanto atteso risultato di questo nuovo disco del 2008, per un trio che alla scorsa edizione del Rootsway Festival parmense, tra i migliori concerti di vero blues a cui si possa assistere in Italia, si è mostrato in azione sul palco di Gramignazzo di Sissa. La voce si è sparsa come nella più viva delle tradizioni orali, ove chi presente non fosse (e i più raccontano di un'incredibile jam a sorpresa con Angelo "Leadbelly" Rossi in chiusura) potesse poi provvedere all'ascolto del lavoro qui recensito, tale 1861. Onori quindi alla canadese Northern Blues per la promozione dei nuovi artisti, da uno stato riconosciuto come tale proprio alla data del titolo (il Kansas), ma che sembra lontano dall'aver dato i natali a un sound come questo, in odore piuttosto di colline "nordmississippiane".

Il pellegrinaggio nei luoghi dove tutto è cominciato allora (il Mississippi) per Aaron Moreland e Dustin Arbuckle non poteva mancare, e vi hanno provveduto nel 2003. Da qui le influenze più vive che mai in un groove solcato di Profondo Sud, che unisce a coloriture Fat Possum cenni di southern rock e brezze di "Prateria", quella di chi piega la carta degli USA e in mezzo non può trovarci che il Kansas, davvero, come direbbe William Least-Heat Moon. A metà strada da tutto, e forse anche nella giusta distanza commisurata agli strumenti nei brani, in quell'equilibrio che genera un azzeccatissimo impasto sonoro con la voce bianca ma possente, e che include spettri di rock'n'roll in grezze similitudini di blues. Come quella ferroviaria che sbuffa fin dall'apertura di Gonna Send Ya Back To Georgia a sferragliare fin nell'acustica Never Far Behind, inframmezzata dall'elettricità di un blues come See My Jumper Hangin'Out On The Line, nel tramite sonoro tra l'armonica di Arbuckle, la chitarra di Moreland e la batteria di Brad Horner come fosse un one-man band show, genuino e stradaiolo.

Con grande semplicità i tre articolano dinamiche sonore rurali con o senza spina, aprendo soltanto i microfoni nel delicato soffio & picking style di Tell Me Why, ipnotica ed uggiosa, o in Teasin' Doney nella medesima vena artistica, sì come nei vertici d'impareggiabile delicatezza bucolica all'aurorale Wrong I Do. Poi alzano il volume fino alla saturazione, e la ruvida Pittsburgh In The Morning, Philadelphia At Night trasforma la veranda di un giorno di pioggia in un sudicio e fumoso juke-joint nella notte del Delta. Non c'è nulla da capire (se non in quella Legend dalla retorica western un po' fuori luogo) di quel che rimane di blues, southern o rock'n'roll nei residui di Fishin' Hole o in Diamond Ring, impreziosita dall'organo. Quanto basta è in questa manciata di canzoni, chiare come l'acqua alle sorgenti del fiume.
(Matteo Fratti)

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