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Autori Vari
Playing for the Man at the Door
Field Recordings from the Collection of Mack McCormick, 1958-1971

[Smithsonian Folkways 2023]

Sulla rete: folkways.si.edu

File Under: Medicine show pitch


di Gianfranco Callieri (10/10/2023)

Secondo un celebre saggista francese, gli individui non acquisterebbero prodotti, bensì le storie rappresentate e incarnate da quei medesimi prodotti. Ciò spiega come mai non solo le tecniche del commercio, ma la politica, il cinema e perché no la musica stessa siano, oggi, del tutto succubi della necessità di raccontare una storia. Certo, la frantumazione dei saperi messa in atto dalla comunicazione via social ha senz’altro agevolato il prepotente riaffermarsi delle "narrazioni" dopo la loro apparente dispersione, causata dalle correnti del post-modernismo, ma l’attuale necessità, da parte del pubblico, di coltivare un’idea attiva di partecipazione, in direzione delle cosiddette esperienze "immersive", indica comunque un fenomeno nuovo. Spesso, sempre nell’ambito dei social, fin troppo emotivo, superficiale e ben poco ragionato; di natura opposta, invece, in altri contesti dove approfondimenti e apparati rappresentino, da sempre, un universo di informazioni da esplorare in profondità.

Negli ultimi tempi, infatti, sono diventate sempre più belle e curate, esaustive e appaganti le pubblicazioni dell’etichetta Folkways un tempo appartenuta al newyorchese Moses Asch e oggi gestita dalle istituzioni dietro agli americani musei Smithsonian: non l’espressione di una semplice opinione per la quale le musiche del passato, meglio se amatoriali, sarebbero più interessanti di qualsiasi articolo del presente (o comunque indispensabili per capire anche quest’ultimo), ma una vera e propria ideologia - interpretare l’attualità attraverso gli strumenti delle epoche precedenti - qualificata e resa inattaccabile dalla precisione, dalla preparazione, dal rigore delle attrezzature metodologiche adoperate per estrinsecarla.

Alla base di Playing For The Man At The Door: Field Recordings From The Collection Of Mack McCormick 1958-1971, reperibile sia in triplo CD sia in un cofanetto da 6 LP, c’è ovviamente il repertorio messo insieme dal fanatico del blues la cui collezione viene saccheggiata, ma anche la convinzione che gli Stati Uniti siano, oggi come ieri, una fusione (forse infelice, ma non per questo da sconfessare) di tanti elementi umani diversi, inattaccabile persino per il moderno antagonismo capitalista fatto di esclusioni e confini, perché come diceva l’antropologa Margaret Mead, "tutti gli americani sono di terza generazione", tutti sono sbucati da un costante intrecciarsi di nuovi concittadini, immigrati, stranieri.

Quindi, antologizzare i materiali per più di vent’anni accumulati da Robert Burton “Mack” McCormick peregrinando per quel che lui stesso chiamava Greater Texas, ossia la parte orientale della nazione omonima (più scampoli di Louisiana, Oklahoma, Arkansas, Alabama e Mississippi), dove letteralmente l’uomo bussava alla porta di (talvolta) emeriti sconosciuti, senza fermarsi davanti agli ingressi di ospedali psichiatrici o bettole segregate, case private o piccoli allevamenti sigillati alla meno peggio da cadenti reticolati metallici, alla ricerca del "vernacolo del Sud" in purezza, non solo registrando all’impronta ma scattando anche fotografie una dietro l’altra, significa riconoscere ai neri e ai latini del meridione nordamericano, ancora una volta, un ruolo predominante nella costruzione dell’immaginario, sonoro e non soltanto, del proprio paese.

Mack McCormick & Spider Kilpatrick
foto: © Chris Strachwitz
Mance Lipscomb and Family
foto: © Mack McCormick

Una narrazione in questo caso asseverata, si diceva, dai ricordi della figlia di McCormick in persona, Susannah Nix, che nelle note di Playing For The Man At The Door: Field Recordings From The Collection Of Mack McCormick 1958-1971 ricorda come il padre, in qualità di artefice dell’autopubblicato e autodistribuito Ragtime Texas Complete Recorded Works (1974), dedicato ai pittoreschi blues di Henry Thomas, texano idolatrato da Bob Dylan, Lovin’ Spoonful e Grateful Dead, avesse per l’occasione raccontato della felicità della bambina nel trovarsi nei paraggi del musicista, in onore del quale aveva battezzato una sua bambola e imparato a ballare. Questo supplemento di storytelling, evocando il genuino entusiasmo di un’epoca in cui tutto sembrava ancora passibile di classificazione e scoperta, spiega come sia stato possibile che un antropologo e musicologo dilettante archiviasse la bellezza di 600 nastri di incisioni originali e più di 150 scatoloni rigurgitanti annotazioni, locandine, negativi e trascrizioni di interviste (tutto materiale donato allo Smithsonian dopo la morte di McCormick, scomparso nel 2015, ottantacinquenne, per un cancro all’esofago).

Accompagnato dalle 128 pagine di uno spettacolare libretto e dagli scatti dello stesso McCormick, Playing For The Man At The Door: Field Recordings From The Collection Of Mack McCormick 1958-1971 presenta 66 incisioni inedite di artisti in (minima) parte piuttosto noti - Lightnin’ Hopkins, Mance Lipscomb, CeDell Davis - accanto a un fiume di testimonianze recuperate da illustri carneadi ora impegnati a far gemere la propria armonica (ci pensa Billy Bizor, sconosciuto cugino di Hopkins, in una virtuosistica Fox Chase) e ora occupati a magnificare le glorie dell’auspicata vita eterna (tratteggiata con grande convinzione da Hardy Gray nella placida Come And Go With Me To That Land, e ci credo non avesse poi troppa fretta di raggiungerla, "quella terra" celeste), in una sarabanda travolgente di espressività musicale di volta in volta declinata nei toni del blues, del folk più selvatico, dello spiritual.

Non mancano lo stato dell’arte country, sebbene totalmente improvvisato (come fa James Tisdom nella spumeggiante Salty Dog Rag), e puntate nello zydeco (interpretato con grinta irrefrenabile dai Dudley Alexander & Washboard Band di una robusta St. James Infirmary), esempi di proto-rap amaro e sboccato (ascoltate la One Room Country Shack di tale Grey Ghost, al secolo Roosevelt Thomas Williams), beat squadrati alla Bo Diddley (si può sentire “Jealous” James Sanchell alle prese con la sudicia Anything From A Foot Race To A Resting Place) e persino deliranti proclami all’insegna dell’antipolitica (se ne fa latore il George “Bongo Joe” Coleman imprevedibile e teatrale di George Coleman For President, Nobody For Vice President, costruita intorno alle steel-drums il cui uso l’esecutore aveva appreso dai marinai caraibici transitanti per il porto di Galveston).

Benché privo di una formazione accademica vera e propria, McCormick era solito distinguere con estrema chiarezza fra i tribal people da lui immortalati al magnetofono e gli altri membri delle comunità nere, più interessate all’urbanizzazione e all’integrazione nei contesti metropolitani; attribuiva alle seconde l’abbandono delle antiche tradizioni orali e ai primi, al contrario, una costante manutenzione, seppure spontanea e non mediata dallo studio, delle pratiche folcloriche invalse dai primi anni del ‘900. E in effetti, tra i musicisti documentati da McCormick non ce n’è uno caratterizzato dall’osservanza dei linguaggi ufficiali: anche Harding “Hop” Wilson, adorato da Johnny Winter (non a caso), che pure suonava nei locali della provincia di Houston, Tx., uno strumento piuttosto complicato (nonché fabbricato artigianalmente) come la lap-steel a doppio manico, lo faceva con una grammatica tutta sua (evidentissima nel country-blues febbrile di Broke And Hungry), mantenendosi refrattario all’eventualità di esibirsi per il pubblico bianco e forse proprio per questo risultando invariabilmente crudo e autentico.

D’altro canto, difficilmente il blues scorticato e nerissimo di Luke “Long Gone” Miles (Rock Me Baby, notevole), o quello ubriachissimo del piano barrelhouse di Edwin “Buster” Pickens, appena più rifinito del rantolo da tastierista autodidatta di Robert “Fud” Shaw (a tutti gli effetti detentore di un negozietto di alimentari con licenza per la preparazione di carni alla griglia, lo Stop And Swap di Austin), avrebbero potuto incontrare l’interesse di etichette magari volenterose sul piano della ricerca (per esempio la Arhoolie di Chris Strachwitz) ma pur sempre guidate da bianchi.

Se, come chi scrive, nutrite una profonda, invincibile attrazione per le storie, ma allo stesso tempo pensate anche che il sapere, contrariamente a quanto ritengono i profeti contemporanei innamorati del talento e del merito, sia un’entità viva e abitabile, studiando la quale sia possibile capire un po’ meglio il mondo in cui viviamo, allora Playing For The Man At The Door: Field Recordings From The Collection Of Mack McCormick 1958-1971, peraltro stracolmo di canzoni bellissime, singolari, inaspettate e spiazzanti, fa assolutamente al caso vostro. Perché se oggi sono appunto le «narrazioni» a condurre il discorso pubblico, a ogni latitudine, approfondirne radici e meccanismi, e analizzarne col dovuto impegno le espressioni più compiute (come questa), circoscrive prima di tutto un gesto, inderogabile, di resistenza culturale.


    


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