In
principio era il blues acustico; e chissà perché, in parecchie delle occasioni
in cui si parla di Alvin "Youngblood" Hart, vengono in mente quei
suoni che hanno costituito l'anima del blues prebellico. In una vecchia
intervista al sottoscritto (era appena uscito l'ottimo Start With The
Soul, anno 2000), Alvin chiariva che "i miei genitori erano originari
del Mississippi, anche i più lontani antenati lo erano; quel tipo di blues
è in assoluto la prima musica che io abbia mai ascoltato"; niente
di strano dunque se, grazie all'ascolto di gente come Charlie Patton,
Leadbelly, Robert Johnson, Bukka White, Rev. Gary Davis, l'esordio dell'uomo
di Oakland, Big Mama's Door (1996) sia risultato come "un piccolo miracolo
del blues acustico". Ma, leggendo tra le righe e tra le pieghe sfumate
di una carriera allora agli esordi, niente lasciava supporre che sarebbe
stato sempre così; già nel successivo Territory (1998) c'erano delle prese
di distanza; nel menzionato Start With The Soul, colpiva la cover di un
vecchio soul di Cornelius Brothers e Sister Rose, Treat Her Like A Lady.
Sempre in quell'intervista, Alvin diceva di "essere ovviamente cresciuto
con il soul, il rock, gli Stones, Hendrix (si sente!) e di non essere
rimasto indifferente". Guardando in controluce la sua storia artistica,
è chiaro, non si sa quanto consapevolmente, il progetto musicale; forse
non c'è stato neanche un progetto, ma partendo dalle più classiche e ortodosse
dodici battute, egli è riuscito a coniare un cifrario personale, mescolando
tutte le sue passioni, dichiarando la non appartenenza a qualsivoglia
etichettatura. Motivational Speaker è un ottimo lavoro,
un punto di forza; è elettrico, pulsante, sporco, fumoso; la voce è a
tratti malsana, la chitarra non ha nessuna remora nel mostrare gli angoli
più hendrixiani (ascoltare praticamente "tutto", in particolar modo Stomp
Dance) o i riff più assolati, vedi la splendida My World Is Round,
che Keith Richard ha sognato con un giorno di ritardo. Sa di blues, soul,
di rock duro, mescola sapientemente presente e atmosfere da fine sessanta.
Dietro tutto, l'avvio è fulminante, Big Mama's Door, dura e cattiva,
profuma di Delta lontano un miglio. Hart e compagnia (un bel circolo nutrito
di musicisti, tra cui Audley Freed, già sul Live At The Greek della
ditta Jimmy Page & Black Crowes), variano continuamente registro, passando
da una scanzonata versione di Lawd I'm Just A Country Boy In This Great
Big Freaky City (Doug Sham) a un rispettosissimo omaggio all' Otis
Redding di Nobody's Fault But Mine, con tanto di sezione fiati
e riff chitarristico sulla punta della forchetta; fino alla personale
visione, forte e magnetica di In My Time Of Dying, che trent'anni
fa brillava su Phisical Graffiti degli Zeppelin. In mezzo le trame incatramate
di Necessary Roughness, The Worm (già nella mani dei Free),
il blues rovente di How Long Before Can I Change My Clothes. Il
tutto per una ventata di freschezza; Alvin "Youngblood" Hart, confeziona
probabilmente il suo lavoro migliore.
(Roberto Giuli)
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