Nato nel '79 a Saginaw, Michigan. Stesso luogo di
tale Stevie Wonder, al quale, seppure non in modo sostanziale, Curtis
Harding sembra dovere stilisticamente qualcosa: si tratta di modalità
vocali, qua e là di riferimenti al sound urbano caratteristico di alcune
opere dello stesso Wonder. E qualche impostazione melodico-ritmica è riconducibile
anche a Marvin Gaye. Seppure non esclusivamente, siamo dalle parti del
“Detroit sound”, magari rivisitato; ma, infine(!), sono riconoscibili
anche tratti del “Chicago soul” di Curtis Mayfield.
A tutti questi confronti specifici, lui aggiunge lievi coloriture hip-hop,
che portano acqua al mulino dell'attualità artistica. Questo è il clima
sonoro che vi attende mentre collocate il cd nel lettore, o utilizzate
qualsivoglia altro aggeggio tecnologico a disposizione. E' il suo terzo
album. Un disco - dice Harding, citando una frase di Nina Simone riportata
nel comunicato stampa, -, con cui vuole dar significato al tempo e alle
relazioni che caratterizzano la nostra vita attuale. E se lo fa a volte
con qualche lustrino di troppo, rischiando di essere sottovalutato, Curtis
è comunque dotato di una bella voce soul. Prodotto da Sam Cohen, If
Words Were Flowers apre con l'omonimo brano, dai toni introduttivi
“solenni”: slow dalle tinte latineggianti, con fiati e un bel coro; una
canzone che - afferma in un'intervista -, trae ispirazione da una frase
che gli ripeteva la madre. E' un'impronta stilistica che ritroviamo in
altre “tracce”, tra cui With You, ballad ancor più intimista, abbellita
dagli archi e da ritmi ed effetti “esotici” che risaltano anche in So
Low - di stampo melodico e (ancora) vagamente wonderiano -, o in Where's
Love.
Altri brani sono gradevoli e ispirati, alcuni più incisivi e sostenuti
da ritmi “più solidi”. Tra questi Can't Hide
It e Hopeful, in cui Harding aggiunge bei sapori hip-hop,
ed Explore, mid-tempo ben strutturato,
con qualche similitudine con le trame vocali di Marvin Gaye, o Forever,
segnato invece dalla chitarra e dalla sua voce anche in eco, con un brillante
falsetto che trova ispirazione in Mayfield. In
The One fa risaltare la sua duttilità interpretativa, ben sorretto
dalla ritmica slow marcata, con la sottolineatura dei fiati. A chiudere
in bellezza l'opera ci pensa I Won't Let You
Down, ballad mid-tempo di stampo soul, evidenziata in particolare
dal sostegno del sax e dei cori, in risposta alla solidità dell'ultraquarantenne
interprete, che ben si confronta con alcune delle migliori voci black
urbane odierne.
Un album, con qualche ricamo strutturale “superfluo”, ma che regge bene,
anche ai ripetuti ascolti.