Guitar slinger del Tennessee,da oltre vent’anni Eric Gales è conosciuto per essere una delle
chitarre più “calde” del blues moderno, insieme agli amici Joe Bonamassa,
Josh Smith e Kirk Fletcher, nonostante, a differenza di questi ultimi,
il suo percorso sia stato molto più incostante e accidentato. Lasciando
perdere i soliti paragoni sparati a raffica e troppo presto con altri
“flamboianti” chitarristi afroamericani (lasciamo intuire chi), quello
che sappiamo è che sicuramente Eric Gales è una forza della natura con
la chitarra. Bluesman massiccio ed energico che sa anche virare su toni
più soul senza tralasciare altri lati della “black music”, come ad esempio
l’hip hop o il funk.
Crown, questo il titolo del lavoro uscito a fine gennaio, è un
disco carico di storia personale di lotta contro gli abusi, di riflessioni
su razzismo e di speranze per il futuro. Insomma l’America vista con gli
occhi di chi la vive dal lato “povero” (Memphis non è certo la Silicon
Valley) e non da chi si può permettere di abitare in un attico a Manhattan.
E su questo Eric Gales ha molta più “credibilità” di tanti suoi colleghi
in quanto il blues, in tutte le sue sfaccettature, lo ha conosciuto e
vissuto in prima persona. Le sessioni di questo nuovo album sono iniziate
il giorno dopo l’assassinio di George Floyd. Sicuramente l’evento ha pesantemente
influito sul mood del disco (così come è accaduto per Eric Bibb e il suo
Dear
America, dove lo stesso Gales ha prestato la chitarra sulla
title track).
La partenza con Death of Me ricorda purtroppo Puff Daddy mentre
cercava di fare rock rappando su Kashmir: non perfettamente riuscita,
ma comincia già a far intravedere la strada maestra del disco, crossover,
chitarrismo sfrenato e tanta energia. The Storm vira già sull’R&B,
con fiati e ritmo danzereccio. L’amico Bonamassa presta il suo virtuosismo
in I Want My Crown, brano sincopato
che ricorda il funk venato di soul di James Brown, mentre nel finale del
brano i due chitarristi si lanciano in un duello al fulmicotone. I temi
razziali vengono lasciati alla ballad Stand Up
e alla successiva e rocciosa Survivor. Reminiscenze di Stevie Ray
Vaughan in Too Close To The Fire,
dove la classe chitarristica di Eric Gales si fa vedere pura e cristallina
qual è. Alcune uscite si rivelano troppo fuori strada, come I Found
Her e My Own Best Friend, che col resto del disco c’entrano
poco (ad occhio e croce potremmo azzardare la prima a firma Hambridge
e la seconda Keb Mo’). I Gotta Go invece,
come da titolo, chiude questi sedici pezzi in stile rhytm n’ blues.
Il disco è prodotto proprio dai compagni Joe Bonamassa e Josh Smith, che
sono anche autori insieme ad Eric Gales dei brani così come LaDonna Gales
(moglie di Eric), Tom Hambridge (produttore, musicista e autore per Buddy
Guy, fra i tanti), James House (altro noto songwriter) e Keb Mo’. Crown
è un disco sicuramente molto eterogeneo (troppe le penne dietro lo spartito
forse), stili, mood e ritmi si mischiano in continuazione, non sempre
amalgamandosi perfettamente. Ma il risultato è comunque un solido disco
di blues rock e una delle prove recenti più concrete del chitarrista americano.