Sound fedelmente ancorato
agli schemi americani del soul dei Settanta, arrangiamenti orchestrali
inclusi, che ritorna alla ribalta in questa epoca di revival del rock
targato 60 e 70. E’ come se non vi fosse la necessità di evolvere o ricercare
qualcosa di nuovo, sentieri mai battuti, sonorità inesplorate, ma solo
appartenere ad un genere, aldilà del tempo e dello spazio, nel
quale identificarsi in maniera radicale. Questa è la mission di Durand
Jones & The Indications, quella di vivere appieno e immergersi totalmente
nel viaggio che fu di Curtis Mayfield, Marvin Gaye, Bobby Womack e Isaac
Hayes. Durand Jones (egregio cantante, di colore, of course) ebbe già
modo di fare la sua proposta con l’omonimo
disco del 2018, sempre sotto l’egida della Dead Oceans, etichetta
specializzata in chicche del genere modern soul.
Sempre in compagnia della band The Indications - nella quale militano
Aaron Frazer (batteria, voce), Blake Rhein (chitarra), Kyle Houpt (basso)
e Steve Okonski (tastiere)- Durand esegue come un discepolo, fedele alla
linea del maestro, lo stesso canovaccio soul e rhythm and blues che anche
in questo secondo disco viene riproposto senza modificare di un singolo
ingrediente la ricetta, classica, che più ortodossa di così non potrei
descrivere. Il primo disco fu registrato dal vivo e certamente è proprio
il palco la dimensione ottimale per vivere appieno lo spirito e la partecipazione
emotiva del nostro Durand, abituato ai cori da chiesa, quando era fanciullo,
ma che in studio -a mio avviso- paga un pochino in termini di grinta ed
esplosività. Il lavoro comincia con un brano, bello davvero, sia per lo
script che per l’arrangiamento, Morning In America,
che non sfigurerebbe anche come perfetta colonna sonora per un film di
Q.Tarantino (per esempio Jackie Brown, che fu caratterizzato proprio
dalla musica soul, stile philly sound) oppure in un genere tipico come
la cosiddetta "blaxpoitation". Circles e Long
Way Home sono i brani migliori, i più facili da apprezzare,
relativamente alla prima parte del disco, dove troviamo -per la verità-
anche delle ballad soul un pochino ripetitive, al limite della noia, vedi
Court Of Love, Too Many Tears, o la melensa What I Know
about You, che raggiunge la sufficienza per un egregio impiego di
organo Hammond di fondo, così come danno senso al lavoro, le strutturate
e ben suonate Sea Gets Hotter e True Love, episodi di genere,
ma vagamente incipriati di rock, blues e gospel.
In definitiva, un disco che mi ha convinto perché sono un fanatico del
vintage: American Love Call, certamente rappresenta un'opzione
di alta classe, all’interno del redivivo genere soul, grazie alla purezza
e alla passione dei protagonisti interpreti (anche in fase di registrazione,
grafica e produzione), una luce decisamente brillante nel marasma generale
di pop music insulsa che gira nelle radio. Chiaro che i classici, noti
a tutti, sono ben lontani dall’essere raggiunti: ci si avvicina, anche
se non siamo all’altezza delle sempre verdi Betty Lavette o Mavis Staples,
ma ci si può accontentare.