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Andrew Duncanson
California Trap
[Run It Back 2025]

Sulla rete: andrewduncanson.com

File Under: californian soul-blues


di Roberto Giuli (18/04/2025)

Come illustra un breve commento all’ultimo album di Andrew Duncanson, “ormai le voci soul sono diventate talmente rare da considerarsi sparite”; a volte però ritornano, non fosse che per un disco come California Trap. L’artefice, Duncanson appunto, è un vocabolario del genere; poche invenzioni, tanta preziosa interpretazione, soprattutto una voce calda, coinvolgente e una capacità compositiva sorprendente. Originario di Champaign, Illinois, già chitarra e voce della Kilborn Alley Blues Band e dei Dig3 (insieme a Ronnie Shellist e Gerry Hundt), incontra, in occasione di una Rhythm & Blues Cruise (2019), Michael Peloquin, eccellente sassofonista, armonicista di talento e arrangiatore: la sintonia è immediata. Andrew propone di registrare alcune canzoni scritte di proprio pugno ai Greaseland studio di Kid Andersen, produttore (Tommy Castro, Rick Estrin etc.) e polistrumentista.

Le cose vanno al loro posto, California Trap è un disco dalle sonorità molto curate oltre che vario; l’organico è completo, lo stesso Andersen (chitarra e basso), Jerry Jermott (basso), Derrick Martin (batteria) tra gli altri, oltre a una sezione fiati di ottimo livello, vero punto di forza tanto del disco quanto del soul di buona marca (“Greaseland All Stars”). Ne beneficiano gli arrangiamenti e lo dimostrano cose come Relearning To Climb, bel soul blues dal sapore a metà tra Motown e Memphis, Naw Naw Naw, pure molto Motown (soprattutto nei cori e negli assoli) o Hold Me Back, dalle intense venature rock, sezione fiati e bell’armonica in primo piano (e Peloquin si merita il “featuring”). La titlte-track è un blues lento che ricorda i fraseggi di BB King ai bei tempi della Modern, laddove Town Saint, risalente al 2017 (i Tolono Tapes della Kilborn Alley Blues Band), rappresenta il soul dal lato più funky.

Allo stesso modo brani come Outer Space, che ricorda un po’ le cose di Bobby Parker o What Kind Of Man, si muovono nella stessa terra dei precedenti. Indi, si distinguono tracce quali Next Life, soul blues in minore guidato dall’Hammond (Jim Pugh), More Lown Than Highs, buon rock’n’roll con accenti country e Better Off Now, rivisitazione di un pezzo della Kilborn (2010). Su tutto, la rilettura in chiave soul (e come potrebbe essere altrimenti?) di This Land Is Your Land, il blues catramoso in stile Chicago, Feelin’ Better Now (ricorda Big Bill Broonzy) e la ballata It’s A Pleasure (bella la voce e il lavoro di armonica cromatica), in realtà una “rendition” di una canzone di Mighty Mike Schermer (2015). Molto utile il packaging con note complete e testi. Disco davvero notevole.



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