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Black
Joe Lewis & The Honeybears
Tell
'Em What Your Name Is
[Lost Highway/ Universal 2009]
Cresciuto nell'humus familiare di soul e rhythm and blues, Black Joe
Lewis ha messo insieme una sua personale revue che attinge a Lightnin'
Hopkins (basterebbe dare un'occhiata al loro Ep d'esordio, con una cover
che rimanda proprio ad un vecchio vinile di Hopkins) e (moltissimo) a
James Brown (questi i punti di riferimento dichiarati per vie ufficiali)
così come ad una quantità enorme di rock'n'roll assorbito e rimuginato
a lungo, tra un lavoro e l'altro per sbarcare il lunario. Uno dei suoi
primi impieghi, un banco dei pegni, gli ha fornito la chitarra per cominciare
a suonare e a cantare la sua street life in forma di canzoni. Il
secondo, in un ristorante, è dove l'ha trovato il chitarrista Zach
Ernst, un bel pezzo degli Honeybears, che aveva organizzato uno show
di Little Richard all'università del Texas (in questa storia non c'è un
nome fuori posto) e gli serviva un gruppo per chiuderlo. Lo show andò
a buon fine ma fu l'incontro tra i due la vera svolta: Black Joe Lewis
& The Honeybears divennero ben presto una delle realtà più avvincenti
della nightlife di Austin, e da adesso in poi una delle rivelazioni di
quest'anno.
Il motivo è tanto semplice quanto solido: la vittoria della vecchia scuola,
quella che preferisce il live act (tre quarti del disco sono stati catturati
dal vivo, parola del produttore Jim Eno) a stucchi e trucchi, quella che
attinge a mani basse dal passato perché è tutto ciò che resta, quella
che urla a squarciagola e le chitarre se le porta pure a letto. Le fondamenta
sono purissimo rhyhtm and blues (basta sentire la prima canzone del disco,
Gunpowder) e se qualcuno ha voglia
di parlare di revival, faccia pure, perché qui c'è anche roba che sembra
venire da qualche bootleg di Ike & Tina Turner (Pleaase
Pt. Two), direttamente dalle strade di New Orleans (il groove
di Master Sold My Baby sembra un classico
delle second line) o da qualche garage ben fornito di ristampe dei Them
o degli Animals (i primi nomi che vengono in mente ascoltando Big
Booty Woman) o, per finire, da una dance hall molto raffinata,
dove sembra ambientata I'm Broke,
il cui basso, detto per inciso, è (nota più, nota meno) quello di Papa
Was A Rolling Stone.
E se gli Honeybears si confermano un combo di rhythm and blues efficace
ed energetico - sulla scia di quel recupero messo in atto da altri giovani
protagonisti, Eli "Paperboy" Reed su tutti -, sempre guidato
dalla chitarra, ma ricco di tutti i fiati, i pianoforti e gli organi che
si possono immaginare, Black Joe Lewis è un urlatore di primissima
categoria, capace di masticare le parole in uno slang diretto e senza
mediazioni, grezzo quel tanto che basta da risultare molto genuino e,
va da sé, molto rock'n'roll.
(Marco Denti)
www.myspace.com/blackjoelewis
www.losthighwayrecords.com
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