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blues per un migrante di
Pie Cantoni (06/04/2017)
Puntuale come sempre, il prolifico Eric Bibb arriva anche quest'anno con
un nuovo disco e noi, ugualmente puntuali, lo recensiamo, perché Eric è uno di
quegli artisti che non si possono ignorare. In questo Migration Blues,
a differenza di precedenti lavori, c'è un unico grande tema che unisce le canzoni,
inedite o cover. E' la migrazione, e il blues che ne deriva. Come spiega lo stesso
Bibb, sia che si guardi ad un contadino nel 1923 che fa l'autostop per scappare
dal sud rurale verso una città del nord in cerca di lavoro, o che si guardi ad
un orfano di Aleppo nel 2016, è tutto "Blues della migrazione". Tema
mai fuori moda sfortunatamente.
Il brano di partenza è
Refugee Moan, il lamento del rifugiato, che sfrutta l'armonica di JJ
Milteau e il banjo di Michael Jerome Browne, per costruire un brano di blues pre-bellico.
Non è la volontà di Dio a opprimere l'uomo nero: con questa affermazione e un
testo incentrato su Jim Crow e la condizione dei neri nel sud degli USA, Delta
Getaway ha un testo potente, il cui protagonista scappa dal Delta per evitare
un linciaggio e si rifugia a Chicago, su una struttura musicale tipica dello stile
di Eric. Più andante, nel solco dello stile di Robert Johnson, è Diego's
Blues, che parla di migranti messicani che arrivano in America in cerca
di fortuna. Con una resofonica a dodici corde, Bibb canta la disperazione dei
migranti del Mediterraneo nella skipjamesiana Prayin' For Shore, mentre
il potere evocativo di Migration Blues si
rafforza nel suo essere solo strumentale (tipo Follow the drinkin' gourd o Dark
Was the Night) e nella tensione fra l'intreccio degli strumenti. Strumentali anche
La Vie C'est Comme Un Oignon e Postcard from Booker.
Sempre
storie di spostamenti in We Had To Move, fra armonica e banjo, in un brano
allegro e movimentato, mentre Brotherly Love
parla di come l'amore fraterno sia, secondo Eric, l'unica possibile soluzione
ai problemi alle tempeste sociali che stiamo attraversando, in un brano con tinte
gospel. Ritmata e con armonica in bella evidenza, With
A Dolla' In My Pocket, con un JJ Milteau più convincente che
nelle precedenti collaborazioni con Bibb. Le tre cover (la dylaniana Masters
of War, This Land is Your Land di Woody Guthrie e Mornin' Train) non
parlano di migrazione direttamente ma fungono da "prequel" e ci spiegano le cause
del fenomeno, in un continuum logico con le altre canzoni.
Il disco assume
un tono più intimistico rispetto ai precedenti lavori di Eric Bibb, sia per la
scelta di ridurre al minimo i musicisti (fra cui i già citati JJ Milteau e Michael
Jerome Browne) sia per il modo in cui vengono trattati i temi e le storie dei
personaggi delle canzoni. Inoltre in questo capitolo l'alchimia con Milteau e
Browne è al massimo. Messicani, Siriani, Africani, Americani... Alla fin fine
i sentimenti e le storie si sovrappongono e diventano una cosa sola. Eric Bibb
ce lo ricorda nel suo stile, cercando di ingentilire il nostro atteggiamento nei
confronti di chi migrante lo è tutt'oggi. Perché, come scrive la poetessa Warsan
Shire: "...nessuno abbandona casa a meno che casa non sia la bocca di uno squalo,
nessuno mette i propri bambini su una barca a meno che l'acqua sia più sicura
della terra..." Monumentale.