Tra i songwriter texani più apprezzati dell'ultima generazione, amico e collaboratore
di un altro outsider come Adam Carroll (presente infatti nel disco con quattro
brani firmati in coppia), già scoperto e prodotto agli esordi da Lloyd Maines,
Owen Temple è una voce rassicurante di quel sottobosco Americana che popola
da sempre la capitale del genere, Austin. Mountain Home, nuovo lavoro
che segue di due anni il fortunato Dollars
and Dimes, comferma il sodalizio con Gabe Rhodes, figlio dell'autrice
Kimmie e ottimo strumentista (chitarre, dobro, banjo e piano), che coglie per
l'occasione il suono gentile e maturo di Temple: più acustico e tradizionale del
solito, molto garbato, è un disco dalle sfumature agrodolci e con una grande attenzione
alle liriche. Da un certo punto di vista potremmo definirlo il suo disco più personale,
anche se l'atmosfera insistentemente rootsy di parecchie ballate lo rende a tratti
troppo soporifero e monocorde.
Ci sono senza dubbio canzoni di grande
qualità letteraria, una serie di storie e vignette che tratteggiano anche personaggi
storici (il conquistador Cabeza De Vaca in Medicine Man,
brano già conosciuto nel recente album di The Band of Heathens; la gloria texana
Sam Houston in Old Sam) e li affiancano a
carateri di pura finzione, ma sempre collocati in uno scenario di piccole comunità
e grandi spazi geografici, offrendo esattamente il senso di quella tradizione
di troubadour che dalle parti di Austin non morità mai. Da questo punto di vista
Owen Temple è un figlio legittimo di Guy Clark e Joe Ely, tanto per fare nomi
cari ad ogni estimatore della più autorevole Texas music, anche se il suo approccio
non eccede mai la buona calligrafia. Si parte in ogni caso con le intenzioni migliori,
visto che la disinvolta Mountain Home è tra
gli episodi più interessanti del disco: un country dal passo rurale con le armonie
vocali di Jamie Wilson. Desdemona è più scura
e rallentata, brano in cui entra in scena il violoncello di Brain Standefer ma
soprattutto si fa protagonista la pedal steel della leggenda Tommy Spurlock,
uno dei tanti camei che arrichiscono la qualità strumentale del disco: tra gli
altri Bukka Allen all'organo e accordion, la batteria di Rick Richards e persino
Charlie Sexton impegnato stranamente al basso.
Sulle caratteristiche
della performance musicale dunque non si possono nutrire dubbi, anche se il tratto
comune di Mountain Home è come accennato quello di una roots music assai soffusa:
a volte il gioco riesce bene, come in Small Town
e Old Sam, e la voce di Temple è calata nelle
evocazioni dei testi, altre invece il disco appare un po' incartato e anonimo,
specialmente nella parte centrale con il trittico rappresentato da Danger
and Good Times, Fall in Love Every Night
e Jacksboro Highway. Ci si risolleva in dirittura
d'arrivo con una cover di Prince of Peace
(di Leon Russell), morbidamente bluesy ed elegante, a ricordare lo stile Lyle
Lovett, e la border song One Day Closer to Rain,
insieme alla title track il momento di maggiore ispirazione di un disco breve
e senza dubbio sincero nella sua ispirazione. (Fabio Cerbone)