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Owen
Temple
Dollars and Dimes
[El
Paisano Records 2009]
Un nome che ha già ritagliato il suo spazio su queste pagine, senz'altro
una vecchia conoscenza per molti estimatori di un genere, quel country
rock vibrante ed energico che si frammenta in varianti infinite, dai colletti
blu fino all'heartland sound, dalle gradazioni folk al cantautorato più
intimo e tradizionale. Owen Temple non è un fuoriclasse, almeno
per ora, solo un onestissimo artigiano che trasmette grinta e sudore alla
sei corde facendola vibrare quel tanto da rendere i propri album (questo
è il quinto) piacevoli e sinceri. Texano di stanza ad Austin - ma una
sorta di vagabondo tra i confini degli States -, Owen è cresciuto a pane,
Guy Clark e Townes Van Zandt grazie alla passione del padre che l'artista
da giovane non ha esitato ad assimilare con passione e disinvoltura. L'esordio
risale al 1997, quando un tale di nome Lloyd Maines decide di credere
in lui, poi varie lauree finiscono per allontanarlo, anche se parzialmente,
dalla sala di incisione, tra singhiozzi di tempo e istinti primordiali
che riecheggiano incessantemente il suono familiare della strada di casa,
quella della musica.
Il suo country di matrice stella solitaria è intriso di polvere rossa
e riannoda i segnali del tempo, vivisezionando un'America che nel caso
del disco in questione trascende i confini geografici per plasmare nove
grandi regioni attorcigliate a un comun denominatore economico e culturale.
C'è un libro quale fonte di ispirazione principale, The Nine Nations of
North America di Joel Garreau, ci sono undici canzoni a rappresentane
le diramazioni quotidiane, tra difficoltà esistenziali (quelle di tutti
i giorni, appunto) e speranze di un sogno da sognare ancora, quello americano,
che sembra ormai disgregato sotto il peso dei ricordi di tempi migliori.
Lo aiutano nell'impresa alcuni bravi musicisti, primi tra tutti il produttore
Gabriel Rhodes (chitarre, organo e piano) e Will Sexton
al basso. Un supporto in fase di composizione è assicurato dalla presenza
di Adam Carroll e Gordy Quist (Band of Heathens) nei credits, e in effetti
il loro contributo si fa sentire, senza per questo sminuire le buone capacità
di songwriting del nostro comune amico.
Le canzoni sono il frutto di un periodo senz'altro ispirato, dall'iniziale
Broken Heart Land, classico esempio
di country elettrico dotato di una linea melodica semplice ma efficace,
fino a Winnipeg Waltz, bel passo per
una delicata ballata di solitudine canadese. Tra i meandri trascinati
da una buona corrente segnalerei Black Diamond,
un brano decisamente ben amalgamato con spifferi di violoncello a ricordare
i freddi inverni del nord, la palpitante Making
A Life, il rock blues pianistico di City
Of The King, il triste resoconto di emigrazione che caratterizza
la title track, la solare Los Angeles
e l'emozione a tinte forti di Golden Age.
Non parliamo di capolavoro, per carità, ma dischi come questo fanno solo
bene a chi li ascolta.
(David Nieri)
www.owentemple.com
www.myspace.com/owentemple
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