Austin
Lucas A New Home in The Old World
[Last
Chance Records 2011]
Una delle voci country
più pure che l'ultima generazione americana potesse regalarci, Austin Lucas
torna sul luogo del delitto cambiando pochi significativi dettagli, senza perdere
un briciolo dell'appassionante narrazione a cui ci aveva abituati con il sorprendente
Somebody Loves
You. Dalla fisionomia acustica, tradizionalissima di quel disco passiamo
oggi alla costruzione di un suono più elettrico e full band: A New Home
In The Old World alza con moderazione i toni, ma come anticipato non svende
l'anima antica di questo ragazzo cresicuto nella "rivolta" del punk rock e tornato
presto, come un figliol prodigo, nelle braccia di una eredità folk e hillbilly
appresa in famiglia. Avevamo già accennato, in occasione del suo precedente lavoro,
agli insegnamenti del padre Bob Lucas, strumentista di scuola bluegrass con un
discreto curriculum alle spalle, che affiancava il suo ragazzo con orgoglio: oggi
Austin si è concesso una gita fuori porta, chiamando alcuni talenti del roots
rock locale e non solo, ampliando la squadra con membri di Lucero e Magnolia Electric
Co. e chiamando alle rifiniture di studio Paul Mahern, già collaboratore di John
Mellencamp. Da un figlio dell'Indiana, che registra il nuovo capitolo a Bloomington,
c'era da aspettarselo, anche se l'eco della tradizione in A New Home In The Old
World si fa meno "divulgativo" e democratico rispetto al recente Mellencamp.
Qui
risuona un raccolto di walzer country, danze hillbilly e ballate folk che mettono
insieme passato e presente, sconfinando a volte in un roots rock più vibrante,
che torna persino ad evocare la prima stagione degli Uncle Tupelo (sentitevi nel
caso Thunder Rail), quando non ad omaggiare
in maniera palese uno dei padri di questo suono, Neil Young (il riff di chitarra
nella livida The Grain ricorda fin troppo
Hey Hey My My…). L'essenza tuttavia non cambia: Lucas ha un viso bonario e tatuaggi
da ribelle, ma quando apre la bocca si trasforma in un angelo che riporta la country
music alle sue fondamenta, tra mistero, peccati, tribolazioni. Tutto il disco
d'altronde è imperniato attorno ad una rilettura della propria gioventù, alla
rivisitazione dei propri errori e delle occasioni mancate, per riscrivere la sceneggiatura
della vita e ricominciare da capo.
Austin Lucas compie l'operazione con
un tono che va dal confessionale alla pura gioia della condivisione dei sentimenti:
così i forti accenti rurali e le scatenate danze di Run
Around e Darkness Out Of Me si
intrecciano alla solitaria leggerezza di Sit Down,
alle dolci trame acustiche di Nevada County Line,
dimostrazioni di una padronannza dei linguaggi tradizionali che non scade mai
nella calligrafia fine a se stessa. La sezione ritmica, come prevedibile, è adesso
spostata in primo piano, nonostante resti improbabile confondere A New Home In
The Old World con un disco di rock'n'roll: fatte le dovute eccezioni (i due episodi
ricordati più sopra), rimane infatti centrale il gioco di strumenti quali fiddle
e banjo, che alimentano il sacro fuoco di Sleep Well
e Feast, fino a chiamare a raccolta i fiati nella commovante chiusura
di Somewhere A Light Shines, li dove il cuore
bianco e nero si intrecciano e una fragranza country soul riporta alla mente la
lezione di The Band. Splendida conferma. (Fabio Cerbone)