Cowboy
Junkies The Nomad Series /Volume 2 - Demons
[Latent/Proper
Records 2011]
Ad essere severi, la storia dei Cowboy Junkies sarebbe potuta anche
finire 15 anni fa, all'indomani di Lay It Down, l'ultimo loro disco ad aver avuto
eco e seguito anche al di fuori della stretta cerchia di fans. Era la prima fase
della loro carriera (detta "del periodo d'oro"), quella in cui poteva capitare
che dell'uscita di The Caution Horses nel 1990 se ne occupasse persino Tv Sorrisi
e Canzoni, ma erano anche tempi in cui la fabbrica dei fratelli Margo e Michael
Timmins sfornava brani memorabili e cover sempre necessarie, mentre ad un certo
punto tutto si è perso in una debolezza compositiva crescente e in una miriade
di riletture e outtakes-record davvero solo per appassionati. La fase 2 della
loro carriera (detta "dell'assestamento") li ha visti comunque saggiamente produrre
solo 4 album di originali in 15 anni, ed è per questo che l'anno scorso avevamo
accolto l'inizio della fase 3 (detta "dell'autoproduzione coatta") con un certo
rammarico, visto che il programma prevede una serie di uscite a raffica "only
for fans", denominate "The Nomad Series", che già nel concetto rinunciano
non solo all'ormai perso appuntamento con la storia, ma anche alla razionale gestione
della propria arte che dovrebbe portare chiunque ad evitare di inflazionare il
proprio mercato.
Il volume 1 di suddetta serie (Renmin
Park) aveva confermato i timori, con una serie di brani senza spina
dorsale, ed è per questo che suscitava poco entusiasmo l'uscita di questo Demons,
sorta di monografia dedicata a Vic Chesnutt, che sulla carta rappresenta
l'ennesima occasione per sciorinare cover fatte in serie sulla formula "prendi
un brano qualsiasi e ipnotizzalo con la voce di Margo che fa sempre scena". Ebbene,
e con immensa gioia e la grande sorpresa tipica di chi proprio non ci sperava
più, che nel lettore ci troviamo il disco dei Cowboy Junkies più riuscito dai
tempi in cui erano ancora in grado di scrivere brani come Common Disaster. A favore
di questo bel disco hanno giocato due fattori: il primo è che nel songbook dello
scomparso Chesnutt c'è tutto quel materiale di prim'ordine che da soli i Timmins
non riescono più a produrre, secondo che in questo caso la voce di Margo non si
limita a dare la versione stralunata di classici con altro ritmo e verve, ma affonda
in una materia che già in origine teneva un ritmo blando e depresso, per cui il
valore aggiunto è la grazia in più rispetto allo sgraziato e sofferto vocalizzo
di Vic.
Nascono così Flirted With You All My
Life, West Of Rome, Strange
Language e l'incredibile Wrong Piano
che apre lo show, senza dubbio tra le registrazioni migliori che i Junkies abbiano
mai fatto, con la chitarra sempre acidula di Michael che trova spesso nelle tastiere
di Joby Baker uno splendido e inaspettato contraltare. Visto che Chesnutt era
il classico artista sfortunato che piaceva quasi più ai colleghi che al pubblico,
di tributi per lui ne verranno altri, ma che non saranno meglio di questo è già
una certezza. (Nicola Gervasini)