Steve
Wynn & The Miracle 3 Northern Aggression
[Blue Rose
2010]
"Considera la fonte", ci dice Steve Wynn in uno dei pezzi più strampalati
di questo nuovo album, e noi, da appassionati di vecchia data, obbediamo. Considerando
la fonte, bisogna armarsi di accetta e dire subito che Northern Aggression
è una mezza presa per i fondelli. Ma al tempo stesso, sempre considerando la fonte,
sulla sua onestà d'intenti possiamo pure mettere la mano sul fuoco: non c'è nemmeno
bisogno di prendere in considerazione l'idea che Wynn non abbia deciso di consegnare
alle stampe quanto di meglio, e di più sentito, egli stesso si ritenesse in grado,
al momento, di pubblicare. Il problema, allora, riguarda quello che Wynn è stato
capace di regalarci negli ultimi anni, ovvero troppi live, troppe collaborazioni
estemporanee e troppi album dove la sua ricerca sonora diventava appassionante
quanto una partita di hockey tra tetraplegici. Da un lato, Northern Aggression
è puro Wynn al 100%: nelle chitarre abrasive e distorte, nei consueti omaggi ai
Television, nell'atmosfera cupa, notturna e psichedelica. Dall'altro, lo si può
anche inquadrare come un gemello di My Midnight (1999), l'album meno "wynniano"
nella carriera di Steve Wynn: un tentativo, cioè, di spiazzare le attese celando
sotto la coltre di feedback delle canzoni un animo sfacciatamente pop, confondendo
le acque con cascate di assoli e svisate di sei corde, buttando nella mischia
qualche inedito arrangiamento tra Tom Waits e soul d'annata (Consider
The Source, The Death Of Donny B)
in apparenza coraggioso ma in realtà, a conti fatti, ben lontano dall'aggiungere
alcunché a una carriera che l'appellativo di "leggendaria" lo merita tutto.
Northern
Aggression, con le sue stravaganze e la sua ruvidezza, vorrebbe essere un disco
di "rottura", perlomeno rispetto al passato recente, europeo e - scusate la franchezza
- mostruosamente tedioso di Crossing
Dragon Bridge e relative propaggini on stage. Eppure non ha la fantasia
di Here Come The Miracles ('01), né le sublimi trivialità stonesiane di Static
Transmission o la cattiveria tra Velvet Underground e Crazy Horse di
...tick ...tick
...tick. Certo, On The Mend suona
ancora devastante come ai tempi eroici dei primi Dream Syndicate (magari corretti
con la violenza bruta degli Who), Resolution
cattura grazie alle accelerazioni di un beat metallico e incalzante, No
One Ever Drowns ha quel sapore di wave malinconica e serrata che stringe
il cuore. E d'altra parte, sospetto che il rockettino di The
Other Side sia una di quelle cose che Wynn è in grado di scrivere,
con la mano sinistra, durante la rasatura mattutina, mentre le diminuite folk-pop
di St. Millwood, tanto per dire, gli riuscivano
senz'altro meglio ai tempi dell'ingiustamente bistrattato. Sweetness And Light
('97).
Il compianto Edmondo Berselli, riprendendo un paradigma di Alberto
Arbasino, scriveva che in Italia "c'è un momento stregato in cui si passa dalla
categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati
l'età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro". Diciamo che a
Stevie Wynn mi lega troppo affetto per pensare di rivolgerli l'ingiurioso epiteto
che segue il regime delle belle promesse. Di certo, visto che dopo aver scritto
una cosa come 300 e passa brani un inaridimento della vena lo si tollera in tutti,
continuerei a reputarlo un maestro persino se smettesse di incidere dischi. (Gianfranco
Callieri)