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inserito
il 02/11/2005
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Tornato sul luogo del delitto, Tucson, Steve Wynn completa un'ideale
trilogia del deserto che passo dopo passo sta delineando i tasselli della
sua più recente carriera, un colpo di coda o l'ennesimo risorgimento (come
lui stesso ironicamente ama definire) che gli verrà attribuito dalla dipartita
dei Dream Syndicate. Steve si sforza anche di spiegarci le ragioni di
questo rapporto indissolubile con la città dell'Ariziona, luogo fascinoso
e opposto per natura, sensazioni, impressioni alla sua amata New York.
Nuovamente coadiuvato dal produttore Craig Shumacher nei famigerati
Wavelab studios e sempre affiancato dai Miracle 3, il nostro protagonista
appare più livido e ansioso che mai, tanto è vero che …Tick…Tick…Tick
(si scrive proprio così) è stato concepito come il più duro e malato dei
suoi lavori "tucsoniani". Il senso di minaccia incombente sulle coscienze
di ogni americano - e di ogni cittadino del mondo se per questo - è simboleggiato
esattamente dalla scelta del titolo, un ticchettio sinistro che si riflette
in un rock'n'roll come al solito tagliente e noir, frammisto a ballate
urbane che ricordano perché Steve Wynn sia ancora oggi considerato un
maestro del genere. A stemperare l'angoscia ci pensa tuttavia la copertina,
quasi caricaturale e certemante ironica, un omaggio nemmeno tanto celato
alle radici musicali di Wynn, come ci ha spiegato nell'intervista. A seguirlo
su questo tracciato, estremamente affiatati e raramente così convincenti
su disco, ci sono i Miracle 3 (l'inseparabile Jason Victor alle
chitarre, Dave Decastro al basso e Linda Pitmon alla batteria),
l'unico appiglio in un disco senza ospiti e collaborazioni, solamente
le canzoni a spiegare ogni mossa. E sono queste ultime a decretare la
riuscita di un disco certamente non rivoluzionario per lo stile di Wynn,
ma nel suo insieme molto uniforme e concentrato sulle tematiche che volevano
essere esplicitate nel titolo: la stessa apertura di Wired, nervosa
e distorta, con una voce filtrata ed un ritmo incalzante, è la fotografia
di quello che ci aspetta. Solo la fotografia però, perché le sorprese
stanno da tutt'altra parte, con risultati assai più esaltanti. La sucessiva
Cindy, It Was Always You, brano scritto a quattro mani con l'amico
scrittore George Pelecanos (a conferma delle passioni letterarie
di Steve), adagiata su atmosfere più rarefatte prepara al corpo sostanzioso
di …Tick…Tick…Tick: l'estasi psichedelica di Freak Star e Deep
End, la voragine rock'n'roll di Killing Me (un aggiornamento
della Anphetamine contenuta sul precedente Static
Trasmission), l'incedere epico di Turning of the Tide,
classica al primo istante. Solo con Bruises sembra aprirsi uno
spiraglio di luce, una "leggerezza" in forma rock che ricorda i tempi
di Swetness and Light, ma è solo un passaggio che viene sbarrato dalla
oscura e notturna Your Secret o dal fragore di Wild Mercury,
altra scudisciata garage (poi riformulata in versione sixty-beat con gli
organi di All the Squares Go Home), fino alla conclusione di No
tomorrow, otto interminabili minuti di risorgimento del Paisley Underground
divisi idealmente in due parti, con pischedelici intrecci di chitarre
e cambi di tempo. Un brano che da solo manterebbe in vita tutto …Tick…Tick…Tick
e che entra di diritto nella galleria delle migliori creazioni di Steve
Wynn, ancora sulla strada, ancora necessario. |