inserito 06/10/2010

Leeroy Stagger & The Wildflowers
Little Victories
[
Blue Rose  2010
]



Il sesto capitolo discografico di Leeroy Stagger non si stacca da quella soggezione che mi era capitato di sottolineare già con il suo predecessore, Everything is Real, disco di una piacevole, briosa svolta elettrica dalle colorazioni Americana, che tuttavia lo metteva in fila alla corte di Ryan Adams e di tutti quei pretendendenti, che in un momento di appannamento e assenza del titolare, stanno affollando la scena. Little Victories piacerà ancora per le rotondità elettriche e il country rock impastato di melodia e persino fragranze soul, ma non sembra essere quel salto di categoria che ci si poteva attendere dopo le positive promesse del recente passato. Il giovane songwriter - a questo punto esponente di prima fila della fronda canadese del moderno rock delle radici - rinsalda il sodalizio con la band, ribattezzata The Wildflowers, condividendo canzoni e suoni che certamente danno la dimensione di un lavoro più corale e cesellato dei dettagli.

La crescita è custodita negli arrangiamenti pop di Everyones on Drugs, nuova riflessione sulle pericolose dipendenze sconfitte dallo stesso Stagger, nel volteggiare rock di Shall Will Be Received, nell'etereo passaggio di Long way Home, in uno swamp dai contorni sudisti intitolato Holy Water, ma soprattutto nella ballad soul Good Things, che chiama all'appello l'organo di Geoff Hillhorst, i fiati di Daniel lapp e la seconda voce dell'ospite Romi Mayes, per sfiorare un piccolo gioiello, purtroppo isolato nel contesto di Little Victories. Album in sé realizzato con un retrogusto dolce e malinconico, tutto incentrato su quella dualità fra rock'n'roll e Americana che non nasconde mai le sue nobili origini in fatto di songwriting (George Blues, tristanzuola folk song che ripesca il Townes Van Zandt più cupo; oppure la chiusura struggente con Love Will Let You Down, ambiziosa ballata pop che si colora di un'armonia beatlesiana), Little Victories non mancherà di solleticare, come anticipato, gli orfani del Ryan Adams (ancora e sempre lui, sentite la fotocopia di Hardtown) più limpido e mainstream (i tempi di Gold, per intenderci), tra le evoluzioni della steel di Bob Egan in Way Down in the Bottoms e Sit Around This House (country sobbalzante ma un po' troppo di maniera) e le recriminazioni e innocenti credenze di una I Believe in Love che rispolvera il più semplice dei mainstream rock, sul quale soffia il battito della strada.

Cosa manca dunque a Leeroy Stagger per convincere del tutto e non sembrare a volte un inoffensivo rocker (Waste of a Wedding) o la confusa figura che arranca in Poor Little Rockstar? Le sue "piccole vittorie" rappresentano certamente una galleria di relazioni, storie personali, cadute e risalite, a cui adesso occorrerebbe proprio dare una scossa. Una vera vittoria insomma, grande, definitiva, che lo spinga verso l'alto e non nella direzione opposta, nella grande confusione dei tanti irreprensibili outsiders.
(Fabio Cerbone)

www.leeroystagger.ca
www.myspace.com/leeroystagger



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