inserito 01/10/2010

Stan Ridgway
Neon Mirage
[
A440 records  
2010]



Per molti rimane ancora quella strana voce abbagliata dalle frequenze di una "Mexican Radio", all'alba degli anni '80, oppure meglio quello spietato cantore del "Big Heat" californiano, fra ritmi sintetici e new wave stravolta da orizzonti rosso fuoco, mentre Stan Ridgway è divenuto nel tempo uno dei songwriter più originali e defilati della sua generazione, un regista (è il caso di dirlo, visto il taglio cinematografico espresso dalla sua musica) dell'anima americana, il quale ha saputo cogliere le sfumature e le distorsioni della società che lo cincorda con una bella dose di umore nero. Neon Mirage in questo percorso - sempre parco, quasi silenzioso - fa l'effetto della agognata maturità, di una sintesi di quanto raccolto in precedenza, puntellando le conquiste migliori e dando una dimostrazione di saggezza ed equilibrio. Come dire che non sarà forse il suo capolavoro, ma sfodera una tale sicurezza di scrittura e una profondità inedita da consacrare Ridgway definitivamente tra i grandi outsider del suono americano di frontiera. Lui è sempre inchiodato li, tra un'armonica "morriconiana", una chitarra riverberata, un tang sound alla Johnny Cash, un ritmo campionato e una tastiera dal rintocco sinistro (la compagna Pietra Wexstun), mettendo insieme contrasti insanabili come country e post punk, pop sintetico e blues, persino commedia musicale e stramberie assortite.

Meno convulso, ricco e dispendioso del precedente, altrettanto valido, Snakebite-Blacktop Ballads & Fugitive Songs, Neon Mirage è un disco che ne segue tuttavia il percorso di moderazione inaugurato dallo splendido Black Diamond a metà anni '90, ovvero sia uno Stan Ridgway più folksinger e tradizionalista, che guarda caso decide di aprire il nuovo lavoro con un ripescaggio dal citato Black Diamond, una versione rallentata e splendidamente acustica di Big Green Tree, prodotta e suonata di comune accordo con Dave Alvin. Ma è l'intero album ad echeggiare l'idea di un'America nascosta, riflessa nei motel, nella periferia, nelle luci al neon, appunto, di una vita lungo i bordi, tra le schegge impazzite del sogno americano: ecco dunque la ripresa di Lenny Bruce, ballata dell'amato Bob Dylan che Ridgway asciuga in un racconto folk essenziale, o ancora la spettrale Flag Up on a Pole, Americana in salsa elettronica, riflessione sulla guerra e il patriottismo nazionale avvolta da un sound sintetico a ritmo reggea. Eppure il fulcro di Neon Mirage è da ricercare soprattutto nella sua superficie più scura e intima, la stessa che ha segnato l'anima di Ridgway con una serie di lutti importanti: innanzi tutto la scomparsa del padre, punto di riferimento nella stessa educazione musicale di Stan, quindi la scioccante perdita di Amy Farris, violinista già alla corte delle Guilty Women di Dave Alkvin, che qui segna buona parte delle session con le sue orchestrazioni, poco prima di togliersi la vita con un suicidio che ha colto d'improvviso amici e colleghi.

Delle loro ombre sono in definitiva ammantate Halfway There, dolcissima ballata folk, Behind the Mask, quasi trasparente nella sua delicatezza e inedita anche per la vocalità dello stesso Ridgway, toccando tuttavia il vertice nella torbida Turn a Blind Eye, sorta di matromonio fra Morphine e colonna sonora di un b-records (il sax è dell'ottimo Ralph Carney) e nell'assai più sorpredente blues elettrico da late hours di Scavenger Hunt, con la chitarra di Rick King a graffiare la pelle. Eclettico come suo solito (Desert of Dreams è un musical che danza sul confine messicano, pasticcio di suoni che si ribalta in un piccolo capolavoro kitsch), tanto progressista quanto conservatore in fatto di tradizione (This Town Called Fate è una cavalcata country degna di Marty Robbins; Neon Mirage uno strumentale che riprende l'amore per gli spaghetti western), lo Stan Ridgway di Neon Mirage parla una volta di più al cuore nero dell'America, oggi però scrutando con attenzione all'interno della sua stessa vita. Ne esce allo scoperto con uno dei dischi più personali della sua carriera.
(Fabio Cerbone)


www.stanridgway.com
www.myspace.com/officialstanridgway



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