La copertina ha il sapore inconfondibile dei b-records e di quel rock'n'roll
periferico che giustamente ti aspetteresti da uno come Elliot Randall:
lui resta ancora uno dei migliori talenti nascosti dell'Americana, nonostante
qualche buon apprezzamento critico e l'opportunità concessagli di aprire diversi
show per Lyle Lovett, Cross Canadian Ragweed e Hayes Carll. Non è bastato insomma
Take that
Fall per farlo emergere da un groviglio
di proposte, che cominciano seriamente ad oscurare anche quei pochi veri artigiani
del suono rock provinciale ancora in circolazione. Randall è un ventenne con un'anima
antica, non scrive capolavori ma ha il dono raro di trovare melodie che bilanciano
perfettamente cantautorato initimista e tradizionalismo rock americano: è venuto
spontaneo affiancarlo a Ryan Adams e in generale a quella frangia più spigliata
ed elettrica del movimento delle radici, ma sarebbe un torto ridurre i suoi lavori,
a maggior ragione un più baldanzoso e sicuro Caffeine & Gasoline,
come pallide imitazioni o scolastiche rivisitazioni del genere.
Potrebbe
essere soltanto sopravvivenza roots rock dai margini, quella che piace peraltro
alle latitudini di RootsHighway e a quelli che hanno ancora a cuore il suono legnoso,
antico e polveroso di un rock'n'roll che in Caffeine & Gasoline imbocca la strada
del Sud, il country rock californiano di un tempo (Elliot Randall si è trasferito
a San Francisco crescendo fra South Carolina e Arizona) e buon ultima quella agrodolce
ballata da grandi spazi che in Too Lucky Too Long,
Trying Again e Bedroom
Window si tinge di colori agresti, senza mai distogliere lo sguardo
dalla ricerca melodica. È una voce credibile e intensa quella del giovane Elliot,
autentica non c'è dubbio nelle sue confessioni, magari poco originali per
penna ed estro, ma con una dose di malizia sufficiente per trasformare le marcette
rurali di Oh Miranda e l'armonia alternative
country di Good Love nell'ennesima variante
sul tema, senza stancare o assomigliare ad una scolorita fotocopia.
In Caffeine & Gasoline ci sono invischiati The Deadmen, un combo che va
oltre l'esenzialità dello stile, costruendo armonie vocali e strascichi elettrici
se possibile ancora più rotondi e corposi rispetto all'esordio: le chitarre di
James Deprato (anche mandolino e banjo) sono la spalla ideale per fare emergere
la personalità di Randall, mentre Tim Marcus (pedal steel) e Danny Blau (piano
elettrico) garantiscono quella patina di "Cosmic Americana" e feeling sudista
collocata da qualche parte fra il santino di Gram Parsons e il presente dell'alt-country.
A questo turno è innegabile infatti che Elliot Randall abbia cercato con insistenza
almeno un colpo del ko (andandoci vicino con Red Velvet
Curtains), modellando ballate sornione (Getting
My Nerve Up, Casanova) che mostrano
la maturità del musicista e forse il diritto sacrosanto di meritarsi almeno un'occasione
per emergere ai piani alti. (Fabio Cerbone)