John
Mellecamp
No Better Than This
[Rounder/
Universal
2010]
"All those ghosts. All those spirits. This is a haunted record." Parole
di T Bone Burnett, ancora una volta al fianco di John Mellencamp in quella
che è ormai diventata una parabola folk insospettabile, una discesa a patti con
le proprie radici di uomo americano. Ebbene si, è pieno di fantasmi e spiriti
questo No better than This, così come lo era il suo predecessore
Life Death
Love and Freedom: ma mentre quest'ultimo metteva in scena una profonda
riflessione personale, una resa dei conti con gli errori delle propria vita e
le speranze di un artista mai così diretto nell'esporre la sua anima, il nuovo
lavoro possiede un senso comunitario, un'idea di America travagliata eppure fiera
e luminosa, quasi contrastando con le tenebre e il peso della morte che incombeva
nel citato Life Death Love and Freedom. L'altra faccia della medaglia insomma,
utilizzando però il medesimo canovaccio: un suono asciuto all'inverosimile, un
rock'n'roll spolpato fino all'osso che diventa ora folk music dal carattere brusco,
fra ballate che evocano gli spiriti di Woody Guthrie e Jimmie Rodgers, rockabilly
scheletrici che invocano l'aiuto di Johnny Cash e Carl Perkins, blues che vanno
alla ricerca disperata dello spettro di Robert Johnson, insomma american music
condotta al grado zero, che contrasta con qualsiasi idea di stardom che possa
essere collegata al successo e alla fama discografica dello stesso John Mellencamp.
Un artista duro e cocciuto, coraggioso certamente, che ormai si permette quel
che vuole e lo raggiunge cercando l'appoggio di chi, T Bone Burnett compreso,
possa dare forma compiuta al suo binomio di parole e musica.
È un altro
capolavoro, il secondo di fila: magari meno coeso e affascinante rispetto a ciò
che lo ha precedetuto, ma un vero continuum se lo si legge anche in rapporto con
il recente box antologico On Rural Route: tredici canzoni che riportano il rocker
dell'Indiana nella polvere delle sue small town, dentro l'America profonda, con
riflessioni che dall'intimo si spostano verso un carattere più universale e soprattutto
popolare, scegliendo spesso la chiave della narrazione, come accade miracolosamente
nelle lunghe gesta di Easter Eve, splendido
racconto in chiave folk. Relazioni umane, famiglia, senso della comunità, ricerca
di una speranza comune, sono soltanto alcune delle colonne su cui poggia un album
che spiazzerà ancora chi va in cerca del Mellencamp sfrontato e ribelle degli
anni giovanili. Quanto è lontano oggi il cantore di The
West End, rabbuiato country blues dalla terra di nessuno, di Right
Behind me, hillbilly trafitto dal violino di Miriam Sturm, e ancora
di Thinking About You, solo voce e chitarra
per commuovere. Il rock'n'roll questa volta è stato infilato in una vecchia stanza,
asciugato e scarnificato di ogni orpello: un vecchio registratore Ampex raccattato
al mercatino dell'usato, un microfono in mezzo e i musicisti a ruota, mentre lo
studio - e che studio, quello storico della Sun records a Memphis - trasudava
le sue leggende, da Elvis in giù. Con il cermoniere Burnett ci sono anche Andy
York e persino Marc Ribot, il basso di David Roe e i tamburi di Jay Bellerose:
suonano come una versione allargata dei Tenenssee Three, basterebbe sentirsi il
prodigio di Coming Down the Road e il suo
sbuffare inconfondibile, o meglio ancora l'interminabile compianto di No
One Cares About Me, su e giù per le colline di una country music dal
volto quasi ancestrale, senza tralasciare No Better than This, rockabilly gracchiante
da un'altra era geologica.
Operazione nostalgica? Non esattamente, perchè
la forza di John Mellencamp è oggi esattamente quella di collocarsi fuori da qualsiasi
prigione del music business e di genere, rendere insomma credibile un disco dove
Right Behind Me viene registrata nella stanza
dello Sheraton Gunter Hotel di San Antonio, la stessa in cui sedette Robert Johnson
per le sue prime incisioni con la Brunswick; Love at
First Sight e Clumsy Old World
addirittura fra le mura della First African Baptist Church di Savannah, la cui
fondazione risale a prima della guerra civile, e nonostante tutto questo non suonare
affatto ridicolo, semmai ispiratissimo nel suo dirigersi controcorrente. Anche
perché No Better Than This, raccontano le cronache, è sbocciato
in fretta, lo scorso anno, fra le pause del tour con Bob Dylan e Willie Nelson.
Le opere migliori si incidono anche così: in presa diretta, rigirosamente mono,
spontanee, con meno confusione possibile intorno alle tue canzoni. John Mellencamp
ci è riuscito un'altra volta: che Dio ce lo conservi così. (Fabio
Cerbone)