Anticipata di qualche mese l'uscita europea di American Standard,
la cantautrice di Boston si prepara nuovamente a raccogliere i maggiori consensi
lontano dalla madre patria, invischiata ormai con altri folksinger americani in
quello che appare loro come un nuovo Eden nel vecchio continente. Il successo
ragguardevole ottenuto in Olanda (la Munich continua ad occuparsi della sua discografia),
Germania e persino Spagna ha convinto Dayna Kurtz a regalare le canzoni
di American Standard con largo anticipo, valutanto anche i notevoli responsi di
critica giunti con il precedente, brillante episodio Another
Black Feather. Dalla sensuale oscurità folk rock di quel disco - tutt'oggi
ancora l'episodio più intenso del suo singolare e eterogeneo catalogo - Dayna
si è spostata leggermente nella direzione di una musica più colorata e imbizzarrita,
corteggiando questa volta le sue radici blues (è un'ottima chitarrista e destreggia
con passione la tecnica slide) e soul (nell'utilizzo sempre più sicuro della voce,
grande arma a sua disposizione), non mancando di disseminare riferimenti alla
tradizione di New Orleans, spesso evocata dentro il suo songwriting.
L'effetto è quello di un disco più slegato e divertito, dove l'autrice tocca le
diverse corde delle sue capacità interpretative. Se l'introduzione ammanta American
Standard di quei toni gospel commoventi più volte messi in rilievo anche in passato
(nella splendida preghiera per voce e banjo intitolata Invocation),
già la successiva Good In '62 fa perdere
l'equilibrio spostandosi rapidamente verso un rockabilly in piena febbre fifties.
Di episodi dichiaratamente retrò, curiosi nello scavare fra i generi dell'american
music che fu, se ne troveranno parecchi lungo il tragitto: Are
You Dancing With Her Tonight?, senza dubbio alcuno, con quel suo pencolare
stretto stretto tipico di una balera anni cinquanta, doppiato dal blues indolente
di Hanging Around My Boy, dove entra persino
in gioco la chitarra di un redivivo Sonny Burgess, leggenda della Sun records
e del primo rock'n'roll, oppure ancora il finale da Mardi Gras, compresa maching
band e fiati (The New Orleans Nightcrawlers) di Election
Day, palese omaggio ai cambiamenti politici americani e autentica liberazione
in musica.
È evidente però quanto la scelta di stile insita in questi
brani sacrifichi un poco la personalità di Dayna Kurtz, la quale, quando è libera
di tornare ai suoi tormeti e all'espressività da autrice di razza, sfodera ben
altro carattere: basterebbe il dark blues di Billboards
For Jesus e Lou Lou Knows a far
vibrare l'ascolto, una Don't Go Down (Elliott
Smith) che brucia soul music d'annata (con l'organo di Peter Vitalone), ma soprattutto
una sorprendente versione di Here Comes A Regular
(The Replacements) rallentata e interamente ammantata di un'atmosfera magica.
Non il suo album più riuscito e istrionico, eppure ulteriore dimostrazione delle
capacità espressive di Dayna Kurtz. (Fabio Cerbone)