Giant
Sand
Blurry Blue Mountain
[Fire
records
2010]
Durante
la notte a Tucson in Arizona si respira ancora aria calda e desertica, il cielo
è un mare di color blu scuro, di rado si sentono i coyotes ululare e qualche pick
up passare con la radio a tutto volume, ma è il silenzio a regnare in questa desolata
regione del Southwest. Siamo nel mezzo della notte e proprio in quello stato di
trance, tra conscio e inconscio, tra lo stare sveglio e l'addormentarsi (time
between the waking world and the sleeping one) che i Giant Sand ci
danno il benvenuto con questo Blurry Blue Mountain. 14 brani ricchi
di poesia che producono maggiore effetto se ascoltati di notte, in solitario,
prima di addormentarsi. Suoni sulfurei che si appiccicano in testa e dominati
da chitarre tremolanti, dalle note di un piano e dalla voce sussurrata e pacata
di Mr. Gelb. Ascoltando BBM si ha la stessa sensazione di leggere un romanzo di
Cormac Mc Carthy o di John Steinbeck, che esplora le emozioni umane nella sua
profondità e il significato della vita. Un album vario come tutti gli altri dei
Giant Sand, che mescola in egual misura jazz, southern, country, lo-fi e punk.
Giunta al diciottesimo album ufficiale la creatura mutante Giant Sand,
orfana di John Convertino e Joey Burns (Calexico), ha compiuto il suo venticinquesimo
anniversario dall'uscita di quel "Valley Of Rain", il loro inimitabile debutto
che per anni è stato seguito come capostipite dell'Alt.Country ("The Godfather
of the Alt.Country"). Howe Gelb ormai cinquantenne è rimasto l'epicentro
e l'unica forza creativa dei Giganti di Sabbia e si fa accompagnare per l'occasione
dai rodati amici danesi: Thoger Lund (basso), Peter Dombernowsky (batteria), Andres
Pedersen (Steel). Una sezione ritmica ossuta e precisa che non sbaglia un colpo
e già presente nei precedenti ProVisions
e It's
All Over The Map, che contribuiscono a creare quel mood di Lynchiana
memoria, ma che ha sempre come ossessione il deserto, i suoi sogni e le sue speranze.
L'inconfondibile voce, roca e densa come il bourbon di buona annata, apre Fields
Of Green e subito le note ti trasportano in un desolato motel fuori
città, in autostrade che sembrano non finire mai. E' il loro inimitabile sound:
chitarra twangy soffusa e andamento dolce-amaro; prendere o lasciare. Chuck
Of Coal ci regala attimi di intimità con ritmi ancora più rallentati
e meditativi e con le note di un piano in sottofondo da brividi sottopelle.
The Last One é un blues elettrificato, sofferto e stradaiolo che ricorda
le composizioni del suo amico Rainer. La lunga Monk's
Mountain è l'altro capolavoro dell'album; ballata desertica che aleggia
verso il Neil Young solitario con tanto di batteria appena sussurrata e chitarre
graffianti. Pezzo da ultimo whisky prima che si annebbi la vista. Spell
Bound è molto bella e solare, con accenti country, mentre Ride
The Rail è ritmata e trascinante con quel coro che rimanda a qualche
vecchio western in bianco e nero. Lucky Star Love
è un'altra ballata romantica e sognante, ingentilita dalla voce di Lonna Kelly
(e sembra di ascoltare Lisa Germano, OP8 era).
Un'altra tempesta di sabbia
ci colpisce con Thin Line Man, ballata con
tanta carica adrenalinica e attitudine (post) punk, chitarre sparate al massimo
e voce sferragliante. Ritorna la pace con la jazzata No
Tellin' mentre Brand New Swamp
sa del migliore Ry Cooder e infine Erosion
scaccia tutti i fantasmi con una ballad da finestra aperta e cielo stellato. Ma
gli incubi non sono finiti e l'ipnotica Better Man Than
Me ci regala un blues secco e asciutto; un altro brano dalla forza
dirompente. Ma il vero capolavoro dell'intera raccolta arriva con la finale Love
a Loser, una piano ballad che rievoca il down beat jazz fumoso di Tom
Waits. La perfetta melodia, un po' lullaby, con Lonna che a metà brano ruba la
scena con quella voce tanto profonda da raggiungere anche i più scettici. Adatto
come punto di partenza per approfondire tutti i loro lavori a cominciare da quel
seminale esordio. Un disco per notti insonni e appena sotto l'altro capolavoro
Chore
Of Enchantment. Un'altra tempesta di sabbia ci ha colpiti; e ancora
una volta ci ha colpiti dritti al cuore. (Emilio Mera)