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Giant
Sand
proVISIONS
[Yep Roc
2008]
Ho amato i Giant Sand di un amore sciocco, incondizionato e adolescenziale,
il tipo d'amore che si può riservare a chi è capace di rileggere uno dei
capisaldi della tua educazione alla musica - il patrimonio delle radici
americane - attraverso un'ottica talmente personale da farti sentire assoluto
protagonista del tuo tempo e del suo erratico divenire. Mi era però sembrato
che la band, in anni recenti, fosse più o meno diventato un prolungamento
difficilmente decifrabile delle ossessioni e dei mutevoli umori del leader
Howe Gelb: in concomitanza con l'amichevole allontanamento dei Calexico,
i Giant Sand, così come i dischi solisti di Gelb licenziati a seguito
di un lavoro folle, struggente e geniale quale Hisser (1998), avevano
finito col tramutarsi in una pubblica seduta di terapia costellata di
opere inevitabilmente oscillanti tra la curiosità effimera e la mediocrità
conclamata. Questo perchè a partire dall'ultimo capolavoro del gruppo
- l'imperdibile Glum del '94 - ad aver preso il sopravvento era stata
la logorrea di Gelb; una verbosità sempre interessante, certo, e talmente
storta e lunare da conquistargli più di prima i favori della stampa indie,
eppure spesso parimenti sconfortante nella propria penuria di grandi canzoni
e punti di riferimento tradizionali.
Piace quindi trovarsi a constatare, in un misto di sorpresa e gratitudine,
che Provisions è l'album più "classico" realizzato dai nuovi
Giant Sand di Howe Gelb da parecchio tempo a questa parte. Non
sarà nuovo, non sarà inaudito né troppo progressista, perlomeno non quanto
ci si poteva aspettare rispetto all'ultima decade di carriera del gruppo,
ma suona lo stesso maledettamente solido, rotondo ed ispirato, soprattutto
nello sgocciolare di pianoforte della toccante Spiral
o nel visionario impasto di slide e chitarre steel che contrassegna l'incedere
inquieto di Pitch & Sway. Se le tastiere
sono come di consueto affidate al solo Gelb, stavolta ad arricchire i
dettagli dell'ordito sonoro ci sono tre danesi consapevoli del fatto loro,
ovvero Anders Pedersen (sei corde), Peter Dombernowsy (tamburi) e Thoger
T. Lund (basso), e il solito codazzo di amici e collaboratori che va dalla
chitarra sbuffante di M. Ward (nel country à la Johnny Cash di
Can Do) alle voci inconfondibili di
Isobel Campbell (ascoltate il rosario di talkin' e paesaggi cooderiani
dell'iniziale Stranded Pearl) o Neko
Case (controcanto perfetto nel country-rock da manuale di Without
A Word).
I fan dell'ultim'ora potrebbero lamentarsi del fatto che sì, le allusioni
stilistiche di Provisions sono in genere assai prevedibili: un po' di
allucinato Neil Young di qua (Belly Full Of Fire,
Muck Machine), country stravolto
di là (The Deseperate Kingdom Of Love),
Lou Reed in sbornia rootsy nel mezzo (World's
End State Park, Out There),
senza dimenticare botte psichedeliche, rock'n'roll in libertà (la stupenda
Well Enough Alone), accelerazioni
improvvise e code dissonanti assortite. Ma chi apprezza i brani destinati
a durare si faccia avanti: questo è un album da ascoltare a lungo. Bentornati.
(Gianfranco Callieri)
www.giantsand.com
www.yeproc.com
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