inserito 27/01/2010

Alberta Cross
Broken Side Of Time
[
Ark Recordings / PIAS 
2009]



Ci sono cascato spesso, ci sono cascato anche stavolta e non c'è dubbio, immagino, che ci cascherò ancora. Ma davvero avrei scommesso le mutande sulle canzoni di The Thief & The Heartbreaker, ep d'esordio degli Alberta Cross, un quartetto di anglo-svedesi trapiantati nell'East End londinese che due anni fa mi sembravano bruciare e sferragliare alla stregua di un incrocio tra i più furiosi White Stripes, le allucinazioni elettroacustiche dei Led Zeppelin di III ('70) e la concretezza sudista dei Black Crowes. I dieci brani di Broken Side Of Time, esordio del gruppo sulla lunga distanza, mi costringono a rimangiare quanto detto e a constatare una volta di più come l'ansia di dire e di dimostrare siano elementi che vanno dosati né più né meno di tutti gli altri, giacché da soli non bastano certo a salvare un disco dalla debolezza di scrittura imbarazzante. E non è nemmeno la qualità del songwriting, il problema maggiore di Broken Side Of Time: il cantante e compositore Peter Erickson Stakee ha ascoltato abbastanza dischi e studiato abbastanza a lungo le pose canore di Perry Farrell o Axl Rose da riuscire a divertire con quella che è, a tutti gli effetti, una riuscita imitazione dell'ugola dei glam-rockers di venticinque anni fa.

I brani, presi singolarmente, non denotano particolari sforzi di fantasia, ma le bastonate hard della psicotica title-track, il bluesaccio manualistico (non "da manuale"), opportunamente corretto da una valanga di distorsioni, della discreta Leave Us And Forgive Us, i riff contorti à la Neil Young di Song Three Blues, il country-rock malinconico di una Old Man Chicago che non sarebbe dispiaciuta al Ryan Adams di Gold e, soprattutto, il fragili fatalismo del brano migliore della raccolta, quella conclusiva Ghost Of City Life che in cinque minuti di ballata folkie annerita e metropolitana, tra pianoforte e pedal-steel, fa rimpiangere tutto quello che non s'è sentito fino ad allora, fanno il loro sporco mestiere, ovverosia si lasciano ascoltare e promettono brividi d'eccitazione che spariscono appena ci si accorge, due secondi dopo averla sentita, di non ricordare nemmeno il titolo della canzone. Quel che mi lascia davvero di stucco è la produzione inascoltabile di Mike McCarthy, in teoria un veterano dello studio (ha supervisionato, tra gli altri, i dischi di Spoon, Patty Griffin, And You Will Know Us By The Trail Of Dead, Heartless Bastards) che però non pare in grado di fare nient'altro se non sparare la voce di Stakee su frequenze innaturalmente alte e seppellire ogni straccio di arrangiamento in una spessa coltre di chitarre, peraltro mai davvero "cattive" o lancinanti, che in più di un'occasione fanno il verso (emblematica, in tal senso, la snervante Atx) al wall of sound, tanto epico nelle intenzioni quanto fastidiosamente monolitico e innocuo nei risultati, degli ultimi, bolliti Oasis.

Diciamo che, data l'efficacia del citato The Thief & The Heartbreaker, non mi aspettavo certo di imbattermi in un album che assomiglia a una raccolta di outtakes dei Keane ubriachi di testosterone in seguito alla scoperta del mondo della sei corde, ma diciamo anche che se avessi ancora quindici anni accetterei senza troppe storie il sound grasso, epidermico e superficiale di Broke Side Of Time mandando affanculo le considerazioni da professore e divertendomi un casino. E sapete una cosa? E' per quei quindici anni e per quel divertimento futile, in fondo, che provo gli unici rimpianti.
(Gianfranco Callieri)

www.albertacross.net
www.arkrecordings.com



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