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02/08/2007
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Alberta
Cross C'è stato un tempo (e sembrano
passati almeno 2'000 anni luce) in cui le riviste dettavano mode, tendenze
e indici di vendita dei dischi. Nei paesi dove i cd sono ancora oggetti
dotati di un loro sfuggente appeal, questo in parte continua ad accadere.
In Inghilterra, per esempio, dove l'addetto alle pulizie del più sozzo
fish&chips percepisce all'incirca quel che potrebbe guadagnare un fisico
come Carlo Rubbia qui in Italia, i musicmag sono ancora letti e i loro
redattori ancora si divertono a sfornare una next big thing praticamente
settimanale, un po' per sciovinismo e un po' per simpatica incoscienza.
Voglio insomma dire che se vivessimo un'epoca in cui il consenso nei confronti
di un album fosse un pelo meno volubile, se non ci scaricassimo tutti
tonnellate di novità e non fossimo quindi diventati quasi tutti impermeabili
alla facoltà di farci sconvolgere da una canzone nuova o da un gruppo
giovane, allora direi che quello degli Alberta Cross di Petter
Erickson Stakee (voce, chitarra) e Terry Wolfers (basso), nonché
dei loro aiutanti John Alexander Erickson (organo) e Seb Sternberg
(tamburi), è senza tema di smentite il debutto dell'anno. Vivendo invece
in questi tempi frenetici, preferisco utilizzare un pizzico di cautela
e dire che sì, forse al momento ci sono altre 1000 band del loro stesso
valore a zonzo per il pianeta, forse ognuna di esse non aspetta altro
che essere scoperta da una webzine o da qualche blogger particolarmente
seguito, ma la voglia di scommettere sulle sette canzoni di Thief
& The Heartbreaker è in ogni caso fortissima. Perché contengono
un sapore inconfondibile di hard-rock, boogie sudista e ballate psicotiche
che sembrano provenire dritti dritti dagli anni '70, eppure suonati con
la sensibilità che può avere soltanto un bislacco quartetto anglo-svedese
di capelloni cresciuti nella periferia est della Londra odierna. Il soul
delle radici della Band, gli assoli contorti di Neil Young, lo spleen
disperato dei Whiskeytown, le bordate tra roots e metallo bruciante degli
ultimi White Stripes e l'angosciosa catalessi folkie di Ray LaMontagne
si fondono in un ibrido che non dovrebbe tardare a rapire i cuori di chiunque
abbia perso la testa per My Morning Jacket o Black Crowes. Le unghiate
bluesy di Lucy Rider e il country-rock a tutta distorsione di The
Devil's All You Ever Had, il gospel allucinato alla Mazzy Star di
Low Man e l'alt.country deragliante della sofferta Hard Breaks
sono gli esempi migliori di una scrittura che non si vergogna di citare
a man bassa pur senza rinunciare a personalità e determinazione. E Thief
& The Heartbreaker, forse, non sarà sufficiente a far guadagnare agli
Alberta Cross l'inutile titolo di "prossima sensazione", ma racchiude
comunque la mezzora di rock'n'roll più bruciante e ispirata tra quelle
ascoltate di recente. |