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Bob
Mould
Life and Times
[Granary Music /Anti 2009]

Non ho mai pensato che Bob Mould avesse completamente perso la
capacità di scrivere grandi canzoni, ma è certo che i suoi ultimi album,
pur esaltando l'eclettismo e la curiosità dell'uomo, non rendevano giustizia
alla tempra granitica dell'artista. Che negli ultimi tempi, tramite l'identità
parallela di LoudBomb (un anagramma del suo nome), si è dedicato a numerose
sperimentazioni con la musica elettronica e i remix di brani altrui, continuando
così a sviscerare gli addentellati tra rock e techno già esplorati nell'astruso
Modulate (2002) e nell'altrettanto disastroso Body Of Song ('05). District
Line, ancorché non troppo ispirato, lo aveva riportato sui
sentieri rabbiosi di quella canzone d'autore rockinrollista perlustrata,
sia in chiave semi-acustica sia in modo rabbiosamente elettrico, nei primi
capolavori solisti, gli indimenticabili Workbook ('89) e Black Sheets
Of Rain ('90). A patto di non aspettarsi nulla né della poetica, dolente
furia hardcore di quegli Hüsker Dü, né dell'effervescenza college-rock
degli Sugar, Life And Times risulta senz'altro il miglior
lavoro di Mould dai tempi dell'ottimo (e sottovalutato) The Last Dog And
Pony Show ('98).
Si tratta di un album dai forti connotati autobiografici, a partire fin
dal titolo, ma fortunatamente privo di ogni accenno di indulgenza o vittimismo:
è anzi un piacere constatare come la scrittura di Mould non abbia perso
nessuno dei propri spigoli nel riflettere con pungente sarcasmo sui passaggi
del tempo (City Lights), sulla personale
omosessualità (Argos), su amplessi
consumati senza amore o prospettive (Bad Blood
Better). Rispetto a un tempo, queste riflessioni e confessioni
non sono più immerse nella dolorosa, densa, soffocante coltre di squarci
rockisti e ballate taglienti che ha reso Mould famoso, e inconfondibile,
bensì collocate in uno schema pop-rock di assoluta immediatezza che in
certe occasioni (ascoltate gli arpeggi splendidamente malinconici della
title-track) ricorda persino i REM di Automatic For The People. Sicché
anche la potenziale claustrofobia di alcuni intrecci elettroacustici,
per esempio quello di Wasted World,
non manca mai di aprirsi in chorus ariosi, solari, quasi byrdsiani, e
gli episodi più movimentati (penso a MM 17
e Spiraling Down, tutto un rincorrersi
di assoli che sibilano come coltellate e rocciose murature di sei corde)
di fare ricorso a melodie sempre accessibili e spontanee.
E se le parentesi superflue non mancano, a cominciare da una I'm
Sorry, Baby, But You Can't Stand In My Light Anymore dove tutta
la fantasia dev'essersi esaurita nella ricerca di un titolo, la chiosa
rattristata di Lifetime, con samples
e filtri vocali finalmente utilizzati in modo sensato (cioé quali contributi
unici a un senso della narrazione quasi cinematografico e impressionista),
sembra suggerire che le svolte cruciali si possono incontrare anche lì
dove non le si andrebbe mai a cercare. Life And Times non
è un disco cruciale, né ambisce ad esserlo, ma ascoltarlo è come ricevere
la telefonata di un vecchio amico che si dava per disperso: qualsiasi
siano i miei e vostri impegni, scatta subito la voglia di dedicargli un
po' del nostro tempo e del nostro cuore.
(Gianfranco Callieri)
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