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Bob
Mould District
Line [Anti/
Self 2008]

La centralità non solo degli Husker Du, vero e proprio monumento dell'alternative
rock condiviso con Grant Hart, ma della stessa carriera solista di Bob Mould
e dei progetti ad essa paralleli (Sugar) pone il suo nome fra le poche grandi
figure sbucate da una precisa stagione musicale. Viene in mente, seppure con esiti
e percorsi artistici differenti, il solo Paul Westerberg: entrambi da una parte
imprigionati nel ruolo di simboli quasi divini per il mondo "indie" americano,
dall'altra costantemente rivolti ad una ricerca di se stessi, un mettersi alla
prova che li ha spesso costretti a doversi confrontare con il loro passato. Alla
soglia dei cinquant'anni Bob Mould è un uomo rappacificato con se stesso, lontano
dal fervore, dalla rabbia, dall'urgenza romantica degli anni giovanili: non dovendo
più chiedere nulla, si è concentrato sulle sue passioni, finendo persino in tempi
recenti a scrivere testi per il mondo fasullo e circense del Wrestling americano,
oppure sbarcando il lunario inventandosi DJ a tempo perso (vedi i progetti dance
LoudBomb e Blowoff). Inutile ribadire che lo preferiamo alle prese con
una chitarra, un'anima da songwriter che in District Line si riaggancia
a quel percorso che si era sfilacciato in tempi recenti. Dallo sperimentalismo
elettronico di Modulate ai compromessi del successivo Body of Song, Mould sembrava
infatti avere irrimediabilmente chiuso una porta in faccia alla storia. La serenità
acquisita, i temi familiari, le riflessioni da uomo adulto di District Line paiono
invece stabilire un avvicinamento alla forme classiche del suo songwriting. Concepito
in due anni di tempo e influenzato dalla permanenza a Washington D.C., con la
coda di amicizie ed esperienze li coltivate, District Line accoglie con confidenza
i vecchi estimatori, provando ad acciuffare il tempo perduto nel trittico iniziale
di Stupid Now, Who
Needs To Dream? e Again and Again.
Cosa chiedere di meglio se non quell'impasto cristallino di power pop e hardcore
punk che ha fatto scuola: si tesse la ragnatela di chitarre e armonie e pensi
all'enorme influenza che questo suono ha esercitato dall'underground più sconosciuto
fino a a raggiungere il mainstream rock. L'altra faccia delle
medaglia però è quella fastidiosa sensazione che Mould stia facendo accademia,
inseguendo insomma una caricatura e ripetendo uno standard: potremmo anche affondare
i ricordi nelle melodie di Return To Dust,
The Silence Between Us e
Walls In Time (una chiusura acustica che rimanda al bellissimo debutto
del 1989, Workbook), ma le abbiamo sentite troppe volte, mentre gli ammiccamenti
modernisti di Old Highs, New Lows e Shelter
Me (ma quella mostruosa invenzione del vocoder va ancora di moda?)
non fanno che ribadire le indecisioni del musicista: tagliare i ponti con la gloria
passata o vivere serenamente l'età adulta? District Line sta nel
mezzo, non scioglie i dubbi, dando la sensazione di una mancanza di prospettiva.
(Fabio Cerbone) www.bobmould.com
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