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Nolan
McKelvey
A Matter of Time
[Nolan
McKelvey 2009]
 
Soltanto un anno e mezzo fa si scomodavano Ryan Adams e Jayhawks, si parlava
di folk rock e canzoni con qualche segreto rubato a Tom Petty: la notizia
è che nel frattempo non è cambiato molto nella ricetta di Nolan McKelvey,
songwriter dalla dura gavetta in quel di Boston e dintorni, approdato
al passo successivo, A Matter of Time, con la stessa squadra
vincente che si era presa cura del predecessore, The
Sound of the Crash. Non occcorre nemmeno ribadire che ci ritroviamo
catapultati in quel sottobosco di sinceri talenti che affollano le strade
secondarie del rock americano, anche se l'aria della East Coast rende
più romantiche e urbane queste ballate: nonostante le collaborazioni con
Levon Helm e il protetto di quest'ultimo, Bow Thayer, il respiro delle
canzoni di Nolan McKelvey si fa più elettrico e urbano, non necessariamente
invischiato con il verbo Americana, seppure lo lambisca di tanto in tanto.
Occorre partire semmai dalla nervosa sei corde di Jeff Lusby (anche
produttore, il quale lascia sporcizia e inquietudine nella registrazione)
in Sign of the Times, dal pop chitarristico
di Song of Hope o dalle ombre di Grave
Digging per farsi un'idea di questi racconti montati con speranza
e poesia spicciola, nulla di trascendentale almeno che non amiate i piccoli
sogni e quegli autori che amano restare un poco in penombra. Nolan McKelvey
dopo tutto possiede un senso melodico non indifferente e lo mette al servizio
di ballate brillanti (il campionario è ricco e passa per All
We Ever Needed, Entwined,
Diamond Mine…che, oltre al titolo, i Blue Rodeo li ricorda
assai da vicino anche nello stile). Ancora una volta c'è da rimarcare
l'assenza di una zampata davvero graffiante, di un brano memorabile che
rimandi ad un futuro possibilmente luminoso. Su questi sentieri altri
colleghi (da Luke Brindley a Roddy Hart e Elliott Randall, per citare
qualche rivelazione passata da queste parti) hanno in stagioni recenti
lavorato alla definizione di quel classicismo rock di cui Ryan Adams resta
il più credibile esponente dei giorni nostri.
Fra alti e bassi sono spuntate sorprese non indifferenti, mentre Nolan
McKilvey pare ancora intento a lavorare ai fianchi, indeciso se mollare
il colpo da ko: la fragilità della voce è un po' il suo tallone d'Achille,
il freno che strattona e non fa decollare Fireflies
o l'acustica Best is Yet to Come.
L'indecisione c'è tutta e si fa sentire, tanto che la soluzione di sostenere
il canto con l'organo di Mike Seitz (c'è anche un piano elettrico
nella cupa Deeper in the Well) o un
intero coro (ribattezzato The Beaver Street Choir) nel finale di Regarding
Proposition (H)8 non è affatto campata per aria. Per il momento
è un buon rincalzo, non del tutto preparato per essere lanciato nella
mischia.
(Fabio Cerbone)
www.nolanmckelvey.com
www.myspace.com/nolanmckelveyand33
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