Un personaggio così davvero non poteva non trovare un contratto negli
States e soprattutto un produttore che lo portasse a Nashville. Per giunta
si è messa di mezzo la New West e dunque possiamo stare sicuri sulla qualità
delle proposta artistica: il debutto americano di Corb Lund, quarantenne
di Alberta, Canada, che tratta le pratetrie del suo paese come fossero
imbevute del mito del West americano, ha le fragranze di un country rock
spavaldo, tradizionalista al punto giusto, conservando quel carattere
romantico e burbero al tempo stesso dei migliori honky tonker. D'altronde
una leggenda come Hank Snow, icona perduta della country music, proveniva
dalle stesse lande: il Canada non è terra immune al fascino di una cowboy
song ed anzi in questi anni si è fatta valere in termini di rinnovamento
Americana. Losin' Lately Gambler è per tutti quelli che
quest'anno sentiranno la mancanza di un nuovo Dwight Yoakam, per chi va
aspettando un ritorno di Marty Stuart (guarda caso in regia siede il suo
accolito Harry Stinson) o per chi pensa che ultimamente Hank III
abbia perso un po' la bussola.
Sesto lavoro in carriera, questo disco si porta appresso svariate nomination
ai Juno Awards e l'appellativo di Artist of the Year per la Canadian Country
Music Associacion: un seguito di culto in madre patria, ma a chi come
noi si è sempre interessato più alle ragioni musicali, ci pare semplicemente
che Corb Lund sia un cavallo di razza. Ce ne eravamo accorti in anticipo
con Hair
In My Eyes Like A Highland Steer del 2006, perdendone poi le
tracce. Ritrovarlo oggi più convincente e con una produzione deluxe in
Losin' Lately Gambler non può che rincuorare le nostre prime impressioni.
Lund non ha una voce indimenticabile, si trascina un po' pigramente, ma
narra di rodei (Steer Rider's Blues),
giocatori d'azzardo (A Game In Town Like This,
ispirata realmente alla vita del nonno) e persino veterinari (chi l'avrebbe
mai pensato come argomento di una canzone?) in Horse
Doctor, Come Quick e Talkin' Veterinarian
Blues con la credibilità che si addice ad un autentico honky
tonk heart dalla tempra dura.
Certo, aveste intenzione di seguirlo nel suo show, il minimo è abbandonare
pregiudizi di sorta sui "nuovi tradizionalisti": agli altri non staremo
nemmeno a spiegare il godimento di una It's Hard
To Keep a White Shirt Clean dedicata allo scomparso songwriter
Willie P. Bennet, oppure una Long Gone to Saskatchewan
che scalcia sui ritmi di un rockabilly degno del Johnny Cash periodo Sun,
e ancora The Only Long Rider I Know,
la più rock e smargiassa della raccolta, per non parlare della delizia
intitolata Devil's Best Dress, ballata
dagli accesi colori mariachi di cui andrebbe fiero Marty Robbins (Lund
dice di esserne stato un grande ammiratore fin da ragazzino). Si arriva
in fondo con un bel sorriso stampato in faccia, tra il groove di Chinook
Wind che riconduce direttamente a Waylon Jennings e uno scopiettante
finale dal vivo (registrato in Australia) dove la band (applausi per ogni
strumento a corda maneggiato da Grant Siemens) scorazza liberamente
in Time to Switch to Whiskey. (Fabio Cerbone)