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Jason
Isbell & The 400 Unit
Jason Isbell & The 400 Unit
[Lightnin
Rod 2009]
C'è una ragione precisa se il nuovo lavoro di Jason Isbell condivide
il proprio nome con gli stessi 400 Unit, la band che da un paio di stagioni
lo sta affiancando in tour: una coesione di suoni e intenti artistici
che doveva in qualche modo esser sancita su disco, mostrando quella crescita
in pubblico che il breve excursus di Live at Twist and Shout (New West,
2007) lasciava soltanto intuire. L'album omonimo sbucato in parte dai
leggendari FAME studios di Muscle Shoals, Alabama, luogo in cui Isbell
è cresciuto da ragazzino con la famiglia (originaria della vicina Florence),
ha il respiro di un rock potente ed epico che sa volgere però lo sguardo
nella direzione di un'elegante ballata soul, combinando insieme le chitarre
ruggenti del southern rock con l'arte del songwriting di autentici outsider
del luogo, tra cui Donnie Fritts e Dan Penn, ovvero sia la storia del
suono country soul sudista.
L'effetto di Jason Isbell & The 400 Unit è quello allora
di un definitivo distacco dalle ombre dei Drive-by Truckers che parzialmente
inseguivano il nostro protagonista nel suo esordio Sirens
of the Ditch. Un confronto inevitabile, visto che quel disco
vedeva coinvolti nelle sessioni Patterson Hood e l'ex compagna Shonna
Tucker, legandosi a doppio filo con le sonorità e le vite stesse dei suoi
vecchi partner. Il sentiero tracciato oggi prende spunto dagli insegnamenti
della strada: la band si è fatta le spalle larghe e buona parte di queste
canzoni sono nate on the road, registrate fra una pausa e l'altra
dagli impegni sul palco. Si percepisce dunque l'urgenza, l'affitamento
fra i musicisti e la limatura del suono, che adesso più che mai promuove
Jason Isbell e la sua voce cristallina e pastosa fra quelle più credibili
del rinascimento New South di queste stagioni. Una volta di più sono racconti
di emarginazione, solitudine, disperate ricerche di aiuto e di affetto
a colorare la tavola dei sentimenti di Jason Isbell & The 400 Unit, storie
che tracciano un solco in quella faccia nascosta e scura dell'America
ferita di oggi: fra l'introspezione di Sunstroke
e No Choice in the Matter, i ricordi
di Seven-Mile Island e le amare riflessioni
di Soldiers Get Strange, i brani costruiscono
una sceneggiatura di tutto rispetto.
I contenuti musicali viaggiano di pari passo, divisi fra rabbia elettrica
e saggezza d'autore, forse ancora distanti da un assoluta perfezione,
ma necessari per Isbell e chiunque avrà voglia di ascoltare il suo accento
sudista: romantico e veemente al tempo stesso, l'album vive nei rimbocchi
fra le chitarre dello stesso Isbell e Browan Lollar, ammorbidito
spesso dall'essenziale presenza di Derry Deborja al piano ed organo.
È infatti il tocco pianistico di quest'ultimo a rendere appassionate e
colme di inquietudine ballad del calibro di Sunstroke e Streetlights,
debordando in un soul rock di trascinante tormento in Cigarettes
and Wine e nella più sinuosa The Blue,
scoprendosi infine nel capolavoro della citata No Choice in the Matter,
spolverata da un'incantevole sezione fiati (Charles Rose e Harvey Thompson)
e da quel sapore inconfondibile di southern soul che scorre nelle vene
della band.
Sono esattamente questi episodi, i più "morbidi" e classici a dare il
segnale di una maturità raggiunta, seppure non manchino affatto sferzate
rock dall'atteggiamento sfrontato, qualche volta a rischio di eccessiva
enfasi (la grungy Good), molto più
spesso gettate a capofitto in una livida elettricità che non perde mai
di vista la melodia (However Long,
Soldiers Get Strange), chiudendo la sua entusiasmante corsa in una jam
trascinante nella coda finale di The Last Song
I Will Write. Sperando, sia chiaro, che quest'ultima sia soltanto
una provocazione e non una minaccia da mettere concretamente in atto:
Jason Isbell è un cavallo di razza su cui puntare nel futuro più immediato.
(Fabio Cerbone)
www.jasonisbell.com
www.myspace.com/jasonisbellmusic
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