Malcolm
Holcombe
For the Mission Baby
[Echo
Mountains 2009]
Si sono scomodati tanti colleghi per Malcolm Holcombe e forse,
dopo troppe stagioni all'inferno fra indifferenza e tortuosi percorsi
discografici, finalmente sta raccogliendo un briciolo di consensi. Una
notorietà circoscritta dentro quel mondo di songwriter, artigiani del
folk e portabandiera del suono Americana in cui Holcombe a dire il vero
rimane un po' rinchiuso a fatica. Perché, come giustamente lo definisce
Lucinda Williams, lui è un poeta blues di questi tempi ma con un'anima
antica e se non bastasse l'incoronazione della chanteuse rock, potremmo
aggiungerci il cameo vocale di Mary Gauthier in Doncha
Miss That Water: come dire che For the Mission Baby
evoca un universo a parte, lo stesso di Guy Clark o Sam Baker per esempio,
dove è impossibile liquidare le canzoni con un'etichetta e tutto andrebbe
ricondotto alle ossa degli accordi, allo scheletro delle ballate, sempre
troppo spiritate per farsi accostare al chiasso di un genere. Malcolm
Holcombe ringrazia comunque sentitamente tutte la radio coraggiose che
nel circuito Americana hanno avuto la pazienza di trasmettere la sua musica:
lo scrive nelle note del cd con convinzione, salvo tornare a nascondersi,
rantolando dentro il suo country blues legnoso ed essenziale, raccontando
con un piglio naif di personaggi, sentimenti, storie e volti che hanno
la bocca impastata di fango.
For the Mission Baby è meno intimo e personale del suo predecessore Gamblin'
House, pare ritornare al lavoro sporco dello storyteller, anche
se il modo di narrare in musica di Holcombe non è cambiato se non in maniera
impercettibile: mugugna caversonoso in Bigtime
Blues, accentuando quella voce che con il tempo sembra subire
le stesse mutazioni di tonalità di Tom Waits, un lamento che rischia di
tirare fino allo spasmo l'interpretazione. Sull'esecuzione però c'è assai
poco da recriminare: Ray Kennedy produce lasciando che ogni strumento
si adatti alle curve del protagonista, portandosi dietro il dobro spettacolare
di Jared Tyler, il basso di David Roe, ma soprattutto mandolino, fiddle
e bouzouki del quotato Tim O'Brien. Insomma le gente giusta di
Nashville, con il cuore ancora rivolto alla tradizione, la quale risuona
in ogni anfratto di For the Mission baby, facendosi trasportare fra bizze
country e un'aria da festa hillbilly per rifugiarsi presto nelle maglie
di una folk music dolcemente nostalgica (il violino che appoggia il canto
in Another One Gone e Straight
an Tall).
Sono tuttavia i brani più mossi come Leonard's
Pigpen e Short Street Blues
(le armonie vocali sono di Siobban Maher), o ancora il calore religioso,
southern e corale, di Whenever I Pray
(Levon Helm dovrebbe farla sua) ad offrire quel tono più gioviale alle
stesse parole di Holcolmbe, che spezza le frasi, mangia le sillabe, strascica
l'accento sudista ma non di dimentica di pizzicare quella Gibson J-45
del 1950 con un fingerpicking che è diventato un marchio riconoscibilissimo.
E intanto manda avanti il suo teatro di solitudini (il commovente ritratto
di Someone Left Behind) rimanendo
fedele a se stesso e ad una memoria che non può tradire. (Fabio Cerbone)