inserito 27/03/2008

Malcolm Holcombe
Gamblin' House
[
Echo Mountain
  2008]



Non manca certo di ispirazione la penna di Malcolm Holcombe, folksinger di cui andiamo tessendo le lodi da troppo tempo, oggi più che mai attivo discograficamente dopo qualche stagione di affanno dovuta alle solite vicissitudini con le major discografiche. Ancora fresco della pubblicazione europea (l'olandese Munich) di Not Forgotten, altra gemma di cantautorato roots macchiato dalla raucedine blues del suo canto, Holcombe rilancia con un disco prodotto dal vecchio pard di Steve Earle, Ray Kennedy, da qualche stagione collaboratore assiduo nei dischi di Malcolm in fase di missaggio. In Gamblin' House si è deciso a prendere il timone, non spostando di una virgola quelle caratteristiche aspre e rurali che da sempre si riflettono nel songwriting del nostro protagonista.

Ancora una volta ci arriva l'eco delle Blue Ridge Mountains dove Holcombe è cresciuto, in North Carolina, quella commistione di strumenti acustici e piccole storie che rendono le sue ballate una porta aperta verso l'America più appartata: una chitarra, un dobro, un violino, una sezione ritmica assai parca e magicamente spuntano le confessioni di un uomo che cerca nella famiglia, nei vicini di casa, nei valori più intimi (When it comes to the end of the day, it's God, family, and neighbors, dichiara egli stesso) la forza per tirare avanti e sperare ancora. I demoni di Malcolm Holcombe sbucano un po' dappertutto in questo Gamblin' House, metafora nemmeno così enigmatca sullo stato di salute mentale degli stessi Stati Uniti e di conseguenza della sua gente, magari quella meno chiacchierata della provincia oscura: affiorano tali senzazioni nel fingerpickin' leggiadro di My Ol' Radio, nelle confessioni amorose di Baby Likes A Love Song e Cynthia Margaret, dedicate con affetto alla moglie Cindy, responsabile in prima persona nella scelta della scaletta, o ancora nella dolce disperazione di I'd Rather Have A Home.

Per contrasto si impongono infine le impressioni country blues di Goodtimes, armonica e feeling da vecchio portico, quando le canzoni le imparava dal padre e la famiglia le cantava riunita intorno ad un tavolo dopo una dura giornata di lavoro. Vecchia America insomma, ma ancora credibile, perfino indispensabile se a celebrarla sussiste la verità di un autore come Holcombe: è la sua voce a metterti spalle al muro in Evelyn, doloroso e lugugre blues rurale condotto dal banjo, a cullarti nel letto old time di Gamblin' House e From Lovin' You, lasciandoti infine un groppo di malinconia in gola con Blue Flame, ballata sospesa fra chitarre acustiche e archi. Un disco scritto in cantina e registrato al piano superiore, come ci tiene a precisare lo stesso Malcolm Holcombe, il quale non avrà da offrire sostanziali variazioni sul tema rispetto al recente passato, ma continua a cantare con una stridente necessità ed un trasporto che hanno pochi pari.
(Fabio Cerbone)

www.malcolmholcombe.com
www.echomountainrecords.com


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