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Malcolm
Holcombe
Gamblin' House
[Echo
Mountain
2008]
Non manca certo di ispirazione la penna di Malcolm Holcombe, folksinger
di cui andiamo tessendo le lodi da troppo tempo, oggi più che mai attivo
discograficamente dopo qualche stagione di affanno dovuta alle solite
vicissitudini con le major discografiche. Ancora fresco della pubblicazione
europea (l'olandese Munich) di Not
Forgotten, altra gemma di cantautorato roots macchiato dalla
raucedine blues del suo canto, Holcombe rilancia con un disco prodotto
dal vecchio pard di Steve Earle, Ray Kennedy, da qualche stagione
collaboratore assiduo nei dischi di Malcolm in fase di missaggio. In Gamblin'
House si è deciso a prendere il timone, non spostando di una virgola
quelle caratteristiche aspre e rurali che da sempre si riflettono nel
songwriting del nostro protagonista.
Ancora una volta ci arriva l'eco delle Blue Ridge Mountains dove Holcombe
è cresciuto, in North Carolina, quella commistione di strumenti acustici
e piccole storie che rendono le sue ballate una porta aperta verso l'America
più appartata: una chitarra, un dobro, un violino, una sezione ritmica
assai parca e magicamente spuntano le confessioni di un uomo che cerca
nella famiglia, nei vicini di casa, nei valori più intimi (When it
comes to the end of the day, it's God, family, and neighbors, dichiara
egli stesso) la forza per tirare avanti e sperare ancora. I demoni di
Malcolm Holcombe sbucano un po' dappertutto in questo Gamblin' House,
metafora nemmeno così enigmatca sullo stato di salute mentale degli stessi
Stati Uniti e di conseguenza della sua gente, magari quella meno chiacchierata
della provincia oscura: affiorano tali senzazioni nel fingerpickin' leggiadro
di My Ol' Radio, nelle confessioni
amorose di Baby Likes A Love Song
e Cynthia Margaret, dedicate con affetto
alla moglie Cindy, responsabile in prima persona nella scelta della scaletta,
o ancora nella dolce disperazione di I'd Rather
Have A Home.
Per contrasto si impongono infine le impressioni country blues di Goodtimes,
armonica e feeling da vecchio portico, quando le canzoni le imparava dal
padre e la famiglia le cantava riunita intorno ad un tavolo dopo una dura
giornata di lavoro. Vecchia America insomma, ma ancora credibile, perfino
indispensabile se a celebrarla sussiste la verità di un autore come Holcombe:
è la sua voce a metterti spalle al muro in Evelyn,
doloroso e lugugre blues rurale condotto dal banjo, a cullarti nel letto
old time di Gamblin' House e From
Lovin' You, lasciandoti infine un groppo di malinconia in gola
con Blue Flame, ballata sospesa fra
chitarre acustiche e archi. Un disco scritto in cantina e registrato al
piano superiore, come ci tiene a precisare lo stesso Malcolm Holcombe,
il quale non avrà da offrire sostanziali variazioni sul tema rispetto
al recente passato, ma continua a cantare con una stridente necessità
ed un trasporto che hanno pochi pari.
(Fabio Cerbone)
www.malcolmholcombe.com
www.echomountainrecords.com
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