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Bill
Callahan
Sometimes I Wish We Were an Eagle
[Drag City 2009]
Copertina bucolica, incantevole e demodè come si addice al personaggio, riferimenti
naturali sia nel titolo, Sometimes I Wish We Were An Eagle, sia
nelle canzoni, le quali sembrano anelare ad una esigenza di libertà e sogno (gli
uccelli come desiderio di fuga e riscatto dai dolori personali): la pienezza formale
e le digressioni country rock del precedente Woke
on a Whaleheart, il disco più cantautorale e "classico" di
Bill Callahan - e per questo poco apprezzato dalla sponda "indie" - lasciano il
passo ad un ritorno verso quella controversa, chiusa, enigmatica malinconia che
ha segnato il suo stile nella precedente creatura Smog. In verità Sometimes I
Wish We Were An Eagle è un disco di mezzo, una volta si sarebbe probabilmente
definito di transizione: in superficie le ferite sono quelle procurate dalle pene
dell'amore e dalla chiusura di una storia importante con un'altra apprezzata artista
(Joanna Newsome), la sublimazione invece è rappresentata da queste ballate sontuose
che riscoprono il sound nostalgico e ombroso di alcune uscite dei citati Smog,
pur rilette alla luce di un autore che nel tempo ha abbandonato le tentazioni
indie rock per abbracciare la maturità del suo canto. Inevitabile tornare
ai paragoni con l'ingombrante Leonard Cohen, eppure gli arrangiamenti di Brian
Beattie (chitarre e piano, ma soprattutto curatore di archi e fiati) sono
li a dimostrare questa nobile ascendenza, mentre Bill Callahan può riversare tutto
l'impenetrabile viluppo delle sue liriche con una interpretazione che si pone
fra il talkin' e il fare incantevole di un autentico crooner. Per questo e altri
motivi il disco apre un varco e divide l'accoglienza della critica: qui, dove
il predecessore Woke on a Whaleheart era stato ampiamente lodato, il nuovo corso
ci appare a volte un po' studiato, per lo meno non così coraggioso come in passato.
È un disco come sempre di chiaroscuri, di ballate dall'eleganza formale impeccabile,
ma con il serio rischio di apparrire a volte stucchevoli (Jim
Cain e la sua speculare chusura, l'interminabile Faith/Void),
di ricerche melodiche esotiche (The Wind and the Dove),
accostate tuttavia ad un talento indiscutibile che rende Bill Callahan un songwriter
che ha fatto scuola e nello stesso tempo si è reso unico nel panorama moderno
della canzone d'autore folk. Il tratto distintivo del disco è quel porre
la voce baritonale sempre in primo piano, di avvolgerla spesso in strati di archi
che contrastano chitarre pizzicate e pianoforti (Jonathan Meiburg) in seconda
battuta. Anche la ritmica accesa contrasta con le tonalità serene dell'interprete
e degli arrangiamenti (My Friend, una straniante
All Thoughts Are Prey to Some Beast che potrebbe
piacere a David Bowie), creando interessanti soluzioni nella misteriosa
Eid Ma Clack Shaw, oppure descrivendo un vero e proprio spazio pop
in Too Many Birds, l'episodio più "accattivante"
della raccolta. La quale non sarà forse il vertice della poetica di Callahan,
ma un momento di passaggio che lascia sul campo ampi spazi di manovra e meno incognite
del previsto. (Fabio Cerbone) www.myspace.com/smoggertone
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