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The
Hold Steady
Stay Positive
[Rough Trade
2008]
Potremmo discutere per mesi se considerare Stay Positive
come uno dei dischi più importanti dell'anno, o semplicemente stroncare
gli Hold Steady come una band pompata di steroidi machisti e ritriti
stereotipi rock. Potremmo stare qui a lungo a disquisire se questo sia
o no il disco della maturità, se era davvero il caso di darsi a cori radiofonici
(Slapped Actress) o di concedersi
inserimenti di improbabili clavincembali (One
For The Cutters) e sintetizzatori (Navy
Sheets), o discutere se vale davvero la pena considerare "alta
scrittura" le poetiche da camionista di Magazines
o Yeah Sapphire. Potremmo domandarci
come mai loro, e solo loro, sono oggi la bar-band che piace a quei teoreti
che quando discutono di musica non possono ammettere di ascoltare i Rolling
Stones senza arrossire, o dissertare su come li ha definitivamente sdoganati
il comparire in quel catalogo delle nuove tendenze rootsy che è stata
la colonna sonora di I'm Not There. Potremmo sottolineare le simbolicissime
presenze di Patterson Hood (Drive By Truckers), Ben Nichols
(Lucero) e J Mascis (Dinosaur Jr.) nelle sessions, oppure rimarcare
ancora una volta che il superbo piano di Franz Nicolay è tarato su tutte
le partiture del Roy Bittan più classico, eccetera, eccetera.
Nulla di sbagliato, intendiamoci, ma in questo caso si tratterebbe del
solito gran cumulo di idiozie che a volte si scrivono per riempire una
recensione. Date retta, stavolta ascoltate solo i vostri organi, uditivi
o riproduttivi che siano, e lasciate che Stay Positive vi colga mentre
camminate nel vostro lato selvaggio, fottendovene se trovate qui qualche
brano memorabile in meno rispetto al precedente Boys
And Girls In America. Questo è rock and roll, se non si era
capito, non è figlio di nessuno, se non di tutto e di tutti, e non si
discute, si vive, si gode, si respira… Solo così avranno senso i cori
da stadio della title-track, solo così ammetterete che avevate ancora
bisogno di una ballatona come Lord, I'm Discouraged,
che vi sbatte nell'orecchio un assolo di chitarra che ha la stessa prosopopea
(che si credeva abbandonata nel tempo) di uno Slash o di altri sbrodolatori
da radio FM. Poi, se proprio si vuole discutere di qualità, c'è sempre
la possibilità di tirar fuori dal cilindro Sequestered
in Memphis, una storia di bukowskiana ordinaria follia che
stende tutti.
E' il senso di appartenenza ad una certa filosofia rock che fa amare gli
Hold Steady, il loro essere nati tra i fiumi di alcool e sudore dei bar
di Minneapolis, il loro sentirsi sporchi e pulsanti come la batteria di
"Lust for Life" di Iggy Pop, oppure sarà anche solo quel santino di Joe
Strummer mostrato nella devastante Constructive
Summer. Sarà il fatto che leggi i testi di Craig Finn e
ti riaffiora dentro tutto il suo immaginario mitico di uomini persi e
debosciati, di donne belle alla luce del bar ma fatalmente perdenti di
giorno, e di scopate consumate nei cessi. Scene di una letteratura rock
che credevamo morta e sepolta, ma che gli Hold Steady stanno riuscendo
a resuscitare con piena plausibilità.
(Nicola Gervasini)
www.theholdsteady.com
www.roughtraderecords.com
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