The
Hold Steady
Boys
and Girls in America
[Vagrant
2006]
1/2
Una copertina assai poco invitante per uno dei dischi rock del 2006, almeno
fermandosi ai resoconti di fine anno di gran parte della stampa specializzata
americana. Boys and Girls in America staziona infatti sulla
vetta di molte riviste come una delle rivelazioni dell'anno appena trascorso:
gli Hold Steady e soprattutto il loro deus ex machina Craig
Finn, autore e declamatoria voce solista dal talkin' serrato, hanno
aperto una breccia con il loro romanticismo rock e i loro riff di chitarra
plateali, che sembrano trovare la formula definitiva per mettere d'accordo
le tribù cresciute con il punk e quelle svezzate il classic rock degli
anni settanta. È una bella definizione che il vostro recensore ha scovato
in rete e di cui non vuole certo prendersi il merito, ma che sintetizza
al meglio i connotanti di un disco traboccante di parole e icone, quasi
"eccessivo" nel suo essere così appassionato, intriso delle
bellezze e dei luoghi comuni del rock'n'roll. Non ho idea se si tratti
di un capolavoro, come qualcuno ha subito cercato di far credere, ma ha
certamente anima da vendere, canzoni che gonfiano il petto e scrosci di
elettricità che travolgono. Finn, come anticipato, si presenta come l'ultimo
dei romantici, canta di una gioventù perduta e confusa e prova a fare
il poeta di strada: in Stuck Between Stations, springsteeniana
fino al midollo con quel piano a cascata che la attraversa, apre il sipario
con citazioni rubate al celeberrimo On the Road di Jack Keruac
e avete già capito dove andremo a parare. Le chitarre di Tad Kubler
rovesciano un muro di punk rock e di riff che sfiorano in seguito persino
l'hard rock (qualcuno ha scomodato i duelli dei Thin Lizzy e non è in
fondo andato lontano dalla verità), non vergognandosi di recuperare una
certa epicità che sembrava ormai perduta nei meandri dell'estetica indie
rock. Così ci pare si atteggino gli Hold Steady e il loro rock'n'roll
da grandi arene in Chips Ahoy! e Masssive Nights, brani
che sono prima di tutto anthem, inni sfacciati e per questo forse sopra
le righe, attraenti e quasi "sospetti". Questo atteggiamento
potrebbe lasciare aperta un'incognita sulle reali intenzioni degli Hold
Steady, ma non occorre fare un processo alle intenzioni. D'altronde, come
restare indifferenti di fronte al turbinare di Party Pit e Southtown
Girls, che oltrepassa quarant'anni di sogni rock'n'roll con assoluta
innocenza, oppure alla sfrontata energia punk di Same Kooks, brano
che ci ricorda la formazione musicale di Finn, da sempre innamorato perso
di Replacements e Husker Du, nonostante finisca per assomigliare più ai
Soul Asylum dei tempi migliori. Innocenti dunque, ed innocente vogliamo
credere sia tutta l'operazione di Boys and Gilrs in America: la storia
recente della band lo dimostra e il suo cambiamento o evoluzione che dir
si voglia è un altro punto a favore.
(Fabio Cerbone)
www.theholdsteady.com
www.vagrant.com
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