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Robert
Forster
The Evangelist
[Tuition
2008]
Le cronache e la fredda statistica ci dicono che The Evangelist
sia il quinto capitolo solista di Robert Forster, ai più
conosciuto come la metà "oscura" e malinconica dei Go-
Betweens, splendida avventura rock australiana condivisa per due decenni
con lo scomparso Grant McLennan. Nei fatti, a dodici interminabili anni
dal predecessore (Warm nights, era esattemente il 1996), il come back
artistico di Forster è solcato invevitabilmente dalle ombre della
dipartita di McLennan (tre gli episodi in cui compare un piccolo contributo
di quest'ultimo nel songwriting), tanto da risultare un lavoro dei Go-Betweens
sotto mentite spoglie: rispondono infatti all'appello il basso di Adele
Pickvance e i tamburi di Glenn Thompson, successivamente arricchiti
da una sezione d'archi condotta da Audrey Riley. Siamo a casa dunque,
e la produzione londinese affidata a Mark Wallis e Dave Ruffy, gli stessi
curatori di Oceans
Apart, non fa che ribadire le intenzoni di Forster: circodarsi
di sicurezze, riprendere il cammino senza cancellare i dolori del passato,
per trovare forse una ragione in più nel continuare a fare musica.
E' lui stesso che sancisce questa esigenza artistica, dibattuto agli inizi
se proseguire o meno la carriera di musicista: chiuso drammaticamente
il romanzo Go-Betweens, restano queste dieci ballate uggiose ed eleganti,
attraversate da quel folk rock capace di farsi a tratti crepuscolare e
dolciastro, altre volte più luminoso e tradizionalista. Si comincia
dalla disillusione di If It Rains e
si prosegue con le ombre di Demon Days:
acustiche, rarefatte, sembrano lo specchio di un autore nell'autunno della
sua vita. Liriche contratte, essenziali ed una musicalità fatta
di chiaroscuri. Poi arriva Pandanus
e uno spiraglio si fa largo: si accendono i colori del folk rock per cui
Forster è giustamente ammirato, virando verso i ricordi di quella
"nuova onda" degli anni '80 in cui la spinta rinnovatrice del
rock australiano vide i Go-Betweens fra i maggiori esponenti nella ridefinizione
del linguaggio pop. Did She Overtake You
è in tal senso quasi un tuffo nei ricordi, salvo riportare l'ascoltatore
verso la caducità dei tempi moderni con la stessa title track,
metafora di un amore votato alla salvezza.
Non è un disco facile e accomodante, accarezza ma può fiaccare
The Evangelist e richiede forse una certa predisposizione
d'animo. Altrimenti non si potrebbero apprezzare e capire fino in fondo
i tenui colori di A Place to Hide Away
e di una pianistica, struggente From Ghost Town,
chiusura sulla quale pare davvero soffiare una presenza impalpabile, quella
appunto di McLennan. Per fortuna ci saranno sempre momenti di adorabile
lucentezza ad allegerire il carico del disco: dalla frizzante cantilena
rootsy con tanto di mandolino di Let Your Light
In, Babe alla morbida veste soul di
Don't Touch Anything fino al nervoso scalciare folk rock
di It Ain't Easy. Dal dolore e dal
senso della vita stessa Forster ha ritrovato le ragioni per proseguire
il tragitto, senza clamori e con la consapevolezza che nulla è
perduto per sempre.
(Fabio Cerbone)
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