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Calexico
Carried to Dust
[Quarterdisk/City Slang 2008]
Annunciato come un ritorno al deserto ricco di mistero delle loro origini
discografiche, peraltro simboleggiato dal riferimento alla polvere sin
nel titolo, Carried to Dust era un giro di boa importante
per i Calexico dopo le indecisioni del precedente Garden
Ruin. Disco quest'ultimo di scarto rispetto alla rotta fino
ad allora seguita dalla band di Joey Burns e John Convertino, tentativo
parzialmente fallito di allargare le possibilità del loro suono dopo le
innumerevoli collaborazioni che ne avevano contaminato la scrittura. La
ripresa delle ostilità marca decisamente un rientro nei ranghi, anche
se i Calexico non rinunciano affatto all'incontro con altri artisti (fra
gli ospiti Iron&Wine, Pieta Brown e Doug McCombs dei Tortoise, oltre alla
chicca della sola edizione italiana, Polpo,
brano in coppia con Vinicio Capossela), semmai li utilizzano in
seconda battuta, prevedendo un songwriting che nasce innanzi tutto dalla
coppia di base Burns-Convertino, nei familiari studi di Tucson, e solo
successivamente offre il destro alle incursioni degli storici collaboratori
Jacob Valenzuela (oggi persino protagonista al canto nella digressione
cubana di Inspiración con Amparo
Sanchez), Martin Wenk e Paul Niehaus.
Così almeno descrivono il lavoro di concezione di Carried to Dust gli
stessi protagonisti, desiderosi di acciufare nuovamente un briciolo della
magia di Black Diamond e Feast of Wire, senza tuttavia averne più il sacro
fuoco, dissipando quell'ispirazione magica che aveva reso i Calexico una
delle creature più originali nella ridefinizione della tradizione folk
americana. Dalla ritmica inconfondibile di Convertino allo scandire delle
prime note in Victor Jara's Hand (dedicata
al musicista cileno ucciso dal regime di Pinochet) alla cavalcata "western"
di The News About William, fino al
country ombroso e crepuscolare di Bend To The
Road è tutto un inseguirisi di pura forma, all'interno di un
quadro scontato, di un canto monotono, insomma un continuo fare il verso
a se stessi e alla propria immagine senza la forza del passato. Si allineano
coscienziosi i riverberi di Fractured Air (Tornado
Watch), le immancabili digressioni spanish-morriconiane di
El Gatillo (Trigger Revisited), quelle
soavità acustiche di alcune ballate alla Burns (Red
Blooms) e persino quella vena di fascinoso sperimentalismo
sonoro (qui adombrato nella chiusura di Contention
City) che ha sempre accompagnato le registrazioni della band.
Si tratta però di un vero e proprio inganno: le liriche impresioniste
- che scavano ancora una volta nel cuore del mito delle frontiera e dell'America
tutta, spesso malinconiche e intente ad indagare la povertà e l'abbandono
- riescono ancora a comunicare qualcosa, ma la veste sonora di cui sono
avvolte (fatta forse eccezione per House of Valparaiso
con Iron&Wine ed una scura Man Made Lake
con finale aperto al feedback delle chitarre) è semplicemente stanca e
sfuocata. Si è forse chiuso un ciclo: l'avvincente formula inventata dai
Calexico ha esaurito la sua spinta vitale.
(Fabio Cerbone)
www.casadecalexico.com
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