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inserito
12/04/2006
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Da più parti si è parlato, riferendosi al nuovo Garden Ruin,
del disco pop dei Calexico: una definizione un po' tirata per la
giacca, almeno di intendere davvero con tale termine una definizone di
stile tanto vaga quanto omnicomprensiva. Difficile riscontrare negli undici
episodi tracce di quella che oggi comunemente si potrebbe classificare
come pop music: allora giunge il sospetto assai fondato che Garden Ruin
sia molto più semplicemente il disco più "ruffiano" dei Calexico, quello
in cui Joey Burns e John Convertino si sono sentiti legittimati,
insieme al produttore JD Foster, a fare un passo oltre le conquiste
del passato, e forse oltre i clihè che gli erano stati cuciti addosso.
In tal senso è un'operazione legittima e forse anche doverosa, perché
tutto si può sostenere tranne che i precedenti Hot Rail e Feast
of Wire non avessero in qualche modo concluso un ciclo, dando
una forma definitiva al desert rock tanto chiacchierato della band. Di
natura completamente opposta tuttavia è capire se il nuovo corso abbia
dato i suoi frutti: giudicando dal grigiore del materiale riunito in Garden
Ruin verrebbe da dire che il primo tentativo è andato decisamente a vuoto.
Inaridito il songwriting di ispirazione mariachi e i profumi più ammalianti
del border messicano - tornano furbescamente solo in Roka (Danza de
la Muerte) - levati di mezzo i più sinuosi strumentali, le ballate
di Joey Burns si sono svuotate del loro fascino, risultando semplicemente
normali, un armonioso e malinonico folk rock di impostazione tradizionale
(Your and Mine, Panic Open String) a tratti inclinato verso
l'alternative country (Bisbee Blues), ma di cui resta davvero molto
poco appiccicato sulla pelle. La sensazione è impietosa soprattutto a
partire dalla seconda metà del disco, quando le varie Lucky Dime,
Smash, Deep Down si susseguono senza lasciare veramente
un segno tangibile. Persino la risaputa efficacia delle percussioni di
Convertino pare anestetizzata in questo cammino. Ci restano le briciole,
tra cui una iniziale Cruel che denota se non altro una costante
maturazione di Burns al canto, oppure il finale con All System Red,
che seppure sommersa da un wall of sound elettrico ha davvero il
pregio di indicare qualche spunto nuovo per i Calexico. Questi ultimi,
nonostante le recenti ed illustri collaborazioni (con gli Iron & Wine)
e gli annunciati cambiamenti musicali e letterari (i testi molto più aggangiati
al sociale e alla situazione politica americana) sembrano ancora alla
disperata ricerca di una ripartenza: gli auguriamo presto di trovarla
(Fabio Cerbone) |