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Ryan
Adams & The Cardinals
Cardinology
[Lost
Highway/ Universal 2008]

I numerosi detrattori italioti di Ryan Adams, se non altro per
centrare l'obiettivo con minore approssimazione, farebbero meglio a condensare
il volume di fuoco dei propri strali non tanto sull'esteriorità di superficie
del personaggio - la prolificità esorbitante, l'abuso di sostanze stupefacenti,
la catena di montaggio delle fidanzate etc. - quanto sull'effettivo valore
delle sue irruzioni discografiche. Cardinology è la decima
in meno di otto anni, e nonostante tutti i dubbi potenzialmente esprimibili
riguardo a una simile fertilità creativa, ancora una volta fa pensare
che Ryan Adams sia l'esegeta più consapevole e raffinato di se stesso,
giacché ha avuto l'arguzia e l'ironia di intitolare questo nuovo album
alla stregua di un trattatello sulle dinamiche del gruppo straordinario
che lo accompagna (Chris Feinstein al basso, Jon Graboff
alla pedal-steel, Neal Casal alle chitarre, Brad Pemberton
ai tamburi) salvo poi rimpolparlo di brani che sembrano l'esatta contraddizione
del feeling live che aveva contraddistinto il mini Follow
The Lights (2007), ad oggi la miglior dimostrazione delle potenziali
risorse e delle mercuriali alchimie della band.
Un difetto? Assolutamente no: Cardinology risulta infatti essere un disco
impregnato di classic-rock sino al midollo, che dagli arpeggi sospesi
di Crossed Out Name al sudicio r'n'r
stonesiano (o, se si preferisce, à la New York Dolls) di Magick
non spreca una sola opportunità per mettere in mostra la statura compositiva
del titolare. Si rassicuri chi paventa un addomesticamento eccessivo dei
Cardinals, poiché la maturità del sound elettroacustico di Natural
Ghost (come non adorare l'incipit "I was waiting around
for somebody to die / Nobody did but a part of me died / I suppose from
all that waiting"), l'incontaminata fragranza semiacustica di Evergreen
o l'eloquio sognante e trasognato di una Like
Yesterday che guarda ai migliori Fleetwood Mac non sarebbero
in ogni caso ipotizzabili senza il contributo di una rock'n'roll band
adeguatamente allenata.
E si rinfranchi, al tempo stesso, chiunque nutra dubbi circa la levatura
del songwriting di Adams, perché, pur non essendo un capolavoro, di piccoli
capolavori Cardinology abbonda: vanno ascritti a questa categoria perlomeno
la struggente piano-ballad Stop (che
chiude le danze) e l'esplosione di percussioni e chitarre di Born
Into The Light (che le apre), il commosso gospel elettrico
di una Let Us Down Easy da archiviare
immediatamente tra gli episodi più brillanti del carnet del nostro, le
scudisciate di una Go Easy che reinventa
il concetto stesso di heartland-rock, lo sfacciatissimo epos alla U2 di
una stupefacente Fix It, fino alla
meraviglia assoluta di Cobwebs: un
periplo di redenzione tra la Manhattan midtown della quinta strada e il
paesaggio autunnale di Central Park concentrato in poco meno di cinque
minuti e in una raffica di sofferti chorus cui è impossibile opporre resistenza.
Liberissimi, a questo punto, di considerare Ryan Adams un annacquato
fenomeno pop in grado di produrre nient'altro che effimeri fuochi artificiali.
Liberissimi - ci mancherebbe altro - di catalogarlo alla voce delle speranze
disattese. Ma liberi anche, io che scrivo e voi che leggete, di non perdere
troppo tempo tra raffronti inutili o diagnosi spocchiose, e di godersi
senza eccessivi patemi uno dei quaderni di canzoni più belli, sentiti
ed entusiasmanti di tutto il 2008.
(Gianfranco Callieri)
www.ryan-adams.com
main.losthighwayrecords.com
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