inserito
il 02/01/2007
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Ron
Lasalle Ormai non ci speravamo più,
anzi diciamo pure che lo avevamo riposto in qualche angolo della memoria,
anche perché non stiamo parlando di un attore protagonista. Un cavallo
di razza però, e di quelle con la pella dura, lo è senz'altro: per questo
motivo, dopo cinque anni di travagliato silenzio, Ron Lasalle prova
a giocarsi una seconda chance con la pubblicazione di Nobody Riders
for Free. Per chi avesse giustamente perso le puntate precedenti,
questo newyorkese trapiantato a Nashville passando via Memphis, possiede
un'ugola al catrame e una passione smodata per quei luoghi musicali dove
rock'n'roll bianco e nero, radici country e pulsioni rhythm'n'blues si
incontrano producendo un suono gracchiante, verace e naturalmente sudista.
Il capitolo precedente, tutt'oggi anche l'unica significativa testimonianza
di una carriera ai margini, che si arrabatta fin dagli anni settanta,
si chiamava Too
Angry To Pray e fu una delle sorprese indipendenti del lontano
2001. Nel frattempo è passata molta strada sotto le scarpe di Ron Lasalle:
concerti in ogni buco disponibile, una vita on the road spezzata
infine da un matrimonio andato in pezzi. Vicende umane che vengono raccontate
con semplicità nelle nuove tredici canzoni raccolte con la sua fedele
rock'n'roll band, in cui spiccano le chitarre del fido Brent Little,
l'organo e il piano di Greg Wetzel e ultime ma non ultime una congrega
di voci femminili che spargono profumi di soul music su una buona fetta
di Nobody Rides for Free. Quest'ultimo resta un disco più "sofferto" e
meditato del suo predecessore, non solo nei tempi di registrazione, generalmente
meno eccitante nei toni e nelle ritmiche, fatta eccezione per il rockaccio
Changing Horses e le pulsioni r&b di What Never Was e Act
Our Age, solari e coinvolgenti. Si parte infatti con il lamento di
Nashville Blues: Ron Lasalle lava via i dispiaceri della sua recente
storia d'amore con un testo semplice, un botta e risposta che rimanda
ai vecchi crocicchi del Sud. Il blues e le opene d'amore ritorneranno
insistentemente con i lentacci Got Love to Blame e Changed my
Ways, fino ad approdare nella braccia della notte con Running Blues.
La voce ruvida e negroide di Lasalle va a nozze con questo repertorio,
seppure si tratti di uno standard meno fantasioso e senza dubbio ben codificato
nelle regole del pianto blues. Sono dunque le ballate a dare una fisionomia
convincente, trasformando Nobody Rides for Free in una romantica traversata
nei terrotori del country soul: commovente innanzi tutti il crescendo
di I Am Love, brano che da solo vale il prezzo del viaggio con
il suo impasto di voci e animosità; struggenti le note d'autore in Try
to Trust Again, ballata soul rock da manuale degli anni settanta;
colorata di tonalità più roots She Did Love Me, in cui ritornano
i riferimenti a John Hiatt già spesi in passato; acustiche e molto intime
infine I Still Talk to Angels e la stessa title track. Un lavoro
intriso ancora una volta di una passione blues che si è fatta finanche
più esplicita, ponendo Ron Lasalle, outsider per vocazione, in un limbo
dove le radici non portano unicamente il nome abusato del movimento Americana. |