Ron
Lasalle Too
Angry To Pray
PHQ records 2001
Ma dove diavolo si nascondeva fino ad oggi il buon Ron Lasalle? Too
Angry To Pray è la dimostrazione esemplare della vitalità della
scena roots indipendente, nonostante in molti continuino a pensare che il settore
non produca più cose esaltanti: scovare outsiders (e dio solo sa se questo
signore non lo è di diritto!), artisti ai margini e forse per marginali,
che ti incollano alla sedia e ti sorprendono con lavori di grande maturità,
manco fossero dei mostri sacri del rock'n'roll, è rimasto uno dei maggiori
piaceri da coltivare. Il disco in questione è un vero e proprio piccolo
segreto del rock provinciale americano, così ricco di suggestioni e richiami
ai classici della nostra crescita musicale, che riesce difficile rimanere impassibili
ed obbiettivi. Affascina certo anche la storia che si porta sulle spalle Lasalle:
musicista del giro di Nashville, per molti anni collaboratore per gente come Bo
Diddley, ed una lunga serie di brutte magagne con le case discografiche,
lo hanno temprato e solo oggi riusciamo ad avere tra le mani questo Too Angry
To Pray, debutto mai tardivo, che ci consegna un artista adulto, navigato, che
sa come toccare le giuste corde dei sentimenti. Voce roca ed espressiva, Lasalle
mette a punto un disco dalle forti tinte seventies, con un armamentario di influenze
che attraversano la canzone d'autore di quegli anni, facendo incontrare country,
soul, rock'n'roll. Come se il sacro fuoco soul di Van Morrison,
le polverose ballate country-rock del John Hiatt di Slow Turning, la raucedine
di Tom Waits ed il rock essenziale di John Fogerty avessero trovato
una nuova casa ad ospitarli. Ottimo il supporto di Brent Little
alle chitarre (e co-produttore del disco con lo stesso Lasalle), a cui fanno da
contorno sostanzioso il sax in gran spolvero di Stan Kubacki e le corpose
backing vocals femminili, che aumentano il tasso negroide del disco. Splendide
in tal senso Take me back to Texas e Bringing love back home, Van
Morrison distillato al 100%, con quella carica sensuale di rock e soul miscelati
ad arte. Another day in Nashville e la stessa title-track hanno un'aria
più ruspante, tra le distese del Texas e la migliore epica blue-collar.
The hard cold truth è fin quasi springsteeniana, una armonica apre
le danze e siamo già sulla strada nel nome del rock'n'roll più sincero.
It ain't money non stonerebbe nel repertorio del John Hiatt più
"sguaiato" e I've got it made chiude le danze con sembianze Rolling
Stones, una bar room song tanto semplice quanto eccitante. Il resto conviene lo
scopriate da soli.
www.ronlasalle.com
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