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12/10/2007 | |
Iron
& Wine 1/2 Essere sé stessi
inventandosi sempre qualcosa di nuovo: era questa la sfida di Sam Beam, alias
Iron & Wine, nel momento di entrare in studio per registrare The
Shepherd's Dog, il suo terzo album, sempre pubblicato dalla mitica Sub
Pop. Ribadire dunque tutta quella unicità stilistica dimostrata col sorprendente
Our Endless Numbered
Days di tre anni fa, cercando però di non ricalcare le proprie orme.
In effetti The Shepherd's Dog è un coinvolgente e per nulla banale inseguirsi
di varie strumentazioni, come se ad ogni canzone Beam abbia voluto far coincidere
un suono o uno stile particolare. Il limite però, come era prevedibile, sta proprio
nel suo marchio di fabbrica, quell'impasto vocale creato dal sovrapposizionamento
della sua stessa voce e quel risultato che sta a metà tra le armonie di Simon
& Garfunkel e l'indolenza dei vari Jason Molina o Will Oldham (personaggi a cui
viene da sempre accostato), un mix affascinante e suggestivo quanto alla lunga
limitante per le poche possibilità di variazione che consente. Peccato quindi
che nella parte centrale di questo cd questa ricerca dell'arrangiamento ad effetto
conosca un momento di stanca e qualche esperimento non convinca del tutto, come
ad esempio il vocoder utilizzato in Carousel,
un brano che fa il verso a certe ballate del progressive-rock di un tempo, oppure
il funky destrutturato di House By The Sea
o la convenzionale Innocent Bones. Ma altrove
si viene storditi dai sitar e dai pianoforti scordati di White
Tooth Man, dal balletto tra organo hammond e fisarmonica di Lovesong
Of The Buzzard, dal dobro e dai ritmi quasi ska di Wolves
(Song Of The Shepherd's Dog), dalle vibrazioni del wurlitzer di Peace
Beneath The City. E quando non sono gli intrecci tra strumenti a cullare
l'ascoltatore, ci riescono le canzoni stesse, come Resurrection
Fern, una soffice folk-song d'altri tempi che si candida ad essere
la migliore prova della grandezza del Beam songwriter, ma anche la storia di Pagan
Angel And A Borrowed Car o la filastrocca di Flightless
Bird, American Mouth. A suonare questa abbondanza di strumenti ci sono
i collaboratori che lo seguono in tour e che fanno del marchio Iron & Wine un
gruppo a tutti gli effetti (tra cui figura anche la moglie Sarah Beam),
ma anche i compagni di viaggio di altre avventure come Joey Burns dei Calexico
e Paul Niehaus dei Lambchop . Il tutto confezionato in collaborazione con
il produttore Brian Deck (già apprezzato in cabina di regia di Animal Years
di Josh Ritter), che ha piazzato percussioni e rumori di ogni tipo in ogni canzone,
ha infilato un bel piano honky-tonk nell'ottima The Devil
Never Sleeps, facendoci battere il piedino, o ha sorretto il bel singolo
Boy With A Coin con un ipnotico tappeto di
battimani. Sam Beam lo sa bene, lui non sarà mai un artista convenzionale, ma
dovrà sempre guardarsi dal non rimanere intrappolato nella sua non-convenzionalità,
e con The Shepherd's Dog, pur non lasciando più nessuno a bocca aperta, conferma
comunque Iron & Wine come uno dei nomi più importanti della scena folk più progressista. |