inserito 27/09/2006

Los Lobos
The Town and The City
[Hollywood 2006]

Abbiamo atteso quattordici anni, ma ne è valsa la pena. Era il 1992 quando Kiko promosse i Los Lobos a gruppo di prima linea della musica americana grazie al suo sapiente mix tra tradizione Tex-Mex, Blues e sperimentazioni percussive di tomwaitsiana memoria. Successivamente però i nostri eroi hanno speso il loro tempo in progetti paralleli (Latin Playboys), collaborazioni (per tutti gli anni novanta non c'era session in Texas che non ospitasse uno dei Lupi), e tante, tante idee alternative. Tanto tergiversare per nascondere senza troppo riuscirci il fatto che il gruppo di fatto non esisteva più, che si ritrovava ogni 3-4 anni per registrare album buoni ma corti e senza coesione come Colossal Head e This Time, che non nascondevano l'attrito tra la voglia di far musica tradizionale di Louie Perez, quella di uscire dagli schemi e sperimentare di David Hidalgo, le influenze blues di Cesar Rosas e la ricerca sonora di Steve Berlin (non a caso produttore richiestissimo). Ognuno con una sua idea, un progetto diverso da sviluppare con altri. Già Good Morning Aztlan nel 2002 ci aveva ridato la sensazione di sentir suonare di nuovo un gruppo affiatato, sensazione che i cinque (in formazione c'è anche Conrad Lozano) avevano poi voluto condividere con altri artisti nel divertente The Ride del 2004, ma The Town and The City ci offre il prodotto di un Dream Team di nuovo volto al gioco di squadra e alla creazione di un rinnovato modo di pensare la musica delle radici. Si riparte dunque, con un disco emozionante, anche se alquanto cupo e sofferto, ben lontano dall'aria di festa dei suoi due predecessori. L'accoppiata di brani iniziale The Valley / Hold On è una triste e lenta cavalcata che racconta l'epopea dell'immigrazione messicana nel suolo statunitense con la stessa cruda veridicità del Furore Steinbeckiano. Il racconto continua con le sonorità rock della straordinaria The Road to Gila Bend per poi dare spazio a Rosas con la tradizionale Chuco's Cumbia. Se la parte centrale del disco è forse quella più debole (anche se incuriosisce l'arrangiamento organistico "alla Whiter Shade of Pale" di Little Things), il finale è di nuovo un teso racconto di alto livello letterario e soprattutto di grande impatto sonoro che passa dalla splendida No Peudo Mas e per le due title-track (The City e la finale The Town). Ma su tutto il disco stavolta regna incontrastata la chitarra di Hidalgo, mai così rock e tagliente in precedenza, nonostante il ritmo notturno dell'album. Probabilmente era questo il disco che voleva fare Springsteen evocando il fantasma di Tom Joad più di dieci anni fa, ma a lui gli spiriti dei messicani defunti "across the border" non gli avevano risposto così bene.
(Nicola Gervasini)

www.loslobos.org