Torna la band che meglio di chiunque altra in questi anni ha saputo trasformare
la proverbiale wilderness americana, quella selvaggia desolazione
del paesaggio statunitense così magistralmente descritta nei romanzi
di Cormac McCarthy, in una musica dal fascino estremo. Tucson, l'Arizona,
il deserto, il vicino Messico continuano ad essere la principale fonte
d'ispirazione anche in Feast of Wire, ma con una varietà
di umori ed un suono più "lussuoso" rispetto al passato.
Joey Burns e John Convertino sono cresciuti alla scuola
Giant Sand, una delle formazioni più visionarie del rock americano degli
ultimi vent'anni, e tutta l'esperienza accumulata si sente forte e chiaro
nelle sperimentazioni dei Calexico, oggi più che mai punta
di diamante del più intelligente rock di frontiera. Musica dal
taglio cinematografico in cui i loro trascorsi alternative-rock (No
Doze) si piegano al suono country&western (Sunken Waltz),
alle colonne sonore di Morricone, alla musica mariachi, persino a timidi
inserimenti di elettronica (Attack El Robot! Attack) ed una punta
di improvvisazione jazz (Crumble). In Feast of Wire il loro marchio
di fabbrica è divenuto ormai una garanzia ma, attenzione, non è
sintomo di ripetitività, trovando nuovi stimoli ed un suono ancora più
ricco ed eleborato. In questo senso può considerarsi il disco dell'età
adulta: meno spigoloso e low-fi del favoloso The Black Light, più compatto
dell'ultimo Hot Rail. E' quasi scomparsa quell'attitudine scarna che li
caratterizzava agli esordi: Quatro, Black Heart o la stessa
festa latina di Across The Wire e Guero Canelo sono brani
dalla struttura più complessa, un'esplosione di sonorità ed influenze
stratificate che rendono questo disco un altro, l'ennesimo, capolavoro
del rock desertico.
Attenzione alla versione cartonata del cd, con tre splendide ghost tracks,
tre cover stravolte tra cui spiccano la mexicana Corona e Fallin'
Rain (di Link Wray)
(Tommaso Piccoli)
www.casadecalexico.com
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