Confesso che avevo una voglia disperata di parlar bene del nuovo album
di Jeff Black. Non per il solo piacere di farlo, è ovvio, ma perché
speravo di trovarmi tra le mani un disco che fosse all'altezza di quel
piccolo, inaspettato capolavoro di B-Sides
& Confessions Vol.1, a mio giudizio il regalo più bello ed
emozionante di tutto il 2003. Invece no, Tin Lily è un disco
sì riuscito, diciamo "grazioso", ricco di tante buone intuizioni che però
non riescono mai a tradursi in un discorso perfettamente compiuto. Che
peccato! Quando si dispone di un talento raro, com'è raro il talento di
Jeff Black, ascoltarlo frenato dalle briglie di un formato inopportuno
non può che rattristare. Dacché è evidente, Jeff riesce a esprimersi al
meglio nei tempi lunghi, nelle dilatazioni surreali di una lunga ballata
triste, nella ruminazione sul proprio sconforto protratta almeno per 5
minuti. I dodici brani di Tin Lily non sono poco riusciti poiché mal scritti
o mal suonati, ci mancherebbe: il suono è quello limpidissimo e immediatamente
classico di un grande album degli anni '70, con chitarre, organo e armonica
ad amalgamarsi in modo assolutamente fantastico, e l'ispirazione dell'autore
non è di quelle che scompaiano da un titolo all'altro con un colpo di
spugna. Tutto al posto giusto, quindi? Già, persino troppo giusto, se
mi passate il paradosso, visto che in troppi casi sembra di ascoltare,
piuttosto che tracce compiute, le sforbiciature delle stesse, bignamini
spersonalizzati di canzoni grandissime soltanto in potenza. Penso ai sublimi
rintocchi elettrici di una Easy On Me che si vorrebbe soltanto
durasse il doppio allo scoppio di dispiegarsi in tutta la sua potenza
di fuoco o all'intro lancinante di una Libertine in cui non si
capisce perché il volume di quelle chitarre non sia un po' più alto. Questo
per quanto riguarda i brani più convenzionalmente rock, e comunque provvisti
di una loro notevole dignità. Sul fronte opposto è impossibile non innamorarsi
di una struggentissima Nineteen che, nell'asciuttezza della propria
malinconia, rappresenta al meglio quella che sarebbe dovuta essere la
bussola dell'intero lavoro, invero illuminato dalla presenza di alcuni
comprimari - Dave Jacques al contrabbasso, Will Kimbrough
alle chitarre elettriche, Kate Campbell e Matthew Ryan ai
controcanti (ma questi ultimi due vi sfido a rintracciarli) - capaci di
elevare a stato dell'arte anche il più abusato mestiere. Insomma, parlare
di un'operazione arida equivarrebbe ad usare un metro di giudizio eccessivamente
severo, ma è innegabile che Tin Lily, e sia detto con sommo rammarico,
cerca in più di un occasione di porre un freno alle bordate emotive delle
canzoni. In fondo, cos'altro attendevano il country-soul di Free At
Last, la springsteeniana How Long o lo sferzante Jackson Browne
di All Days Shine se non la possibilità di estrinsecare tutta la
loro bellezza senza vincoli di durata? Alla prossima, caro Jeff, stavolta
entrambi col cuore in mano
(Gianfranco Callieri)
www.jeffblack.com
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