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inserito
il 02/03/2005
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Quando in What Are You Waiting For? la sentiamo cantare "You
say you like me in your memory / You've got to be fucking kidding me",
è davvero impossibile, per Kathleen Edwards, non suscitare paragoni
con Lucinda Williams, con la rabbia, con l'amaro disincanto e lo strazio
singhiozzante della nostra rockeuse preferita. Ovviamente le similitudini
tra le due artiste non si fermano qui, perché come quella di Lucinda,
la poetica di Kathleen si arrocca con infinita malinconia su storie di
amori sognati e sui ricordi di quelli perduti, su di un suono che sa essere
intimamente rootsy senza scadere in mollezze, su di un'impietosa radiografia
dei sentimenti e del loro dissolversi che mai trascolora nel sentimentalismo
fine a se stesso. Inoltre, rispetto ai precedenti Failer
(2003) e Live From The Bowery Ballroom ('03), che al suono di Lucinda
dovevano tutto o quasi, Back To Me contrassegna una netta
crescita dell'autrice in termini di personalità e sicurezza, nonché un
reciso innalzamento del coefficiente rock'n'roll delle canzoni. Senz'altro
merito di una backing-band di grande solidità, il cui nucleo è di solito
costituito dalle chitarre elettriche di Colin Cripps, dal basso
di Kevin McCarragher e dai tamburi di Gary Craig o Joel
Anderson, anche se sarebbe delittuoso sottovalutare la sferzata d'energia
portata in dote dall'evocativa pedal-steel di Eric Heywood e dalle
tastiere di un veterano del migliore rock made in Usa come l'ex-Heartbreaker
Benmont Tench, due ospiti che in più di un'occasione sanno fare
la differenza. Sapendo, soprattutto, come farla, dacché, sì, l'accostamento
più sensato che si possa fare rispetto ai brani del disco, e non solo
in virtù dell'associazione spontanea provocata dal nome di Tench, è proprio
quello con il canone del primo Tom Petty, col suo pop'n'roll tanto irresistibile
nelle melodie quanto granitico e travolgente nell'assetto sonoro. Ascoltate
per esempio il primo break chitarristico della stupenda Somewhere Else
(provvista inoltre di una sezione fiati arrangiata in modo a dir poco
incantevole), il mulinare della sei corde nell'iniziale In State
o la fragorosa tensione rockinrollistica che esplode nel bridge della
title-track e ditemi se non è inevitabile ripercorrere gli stessi brividi
procurati a suo tempo dalle Listen To Her Heart o I Need To Know del Seminole
della Florida: stessa urgenza, stessa forza comunicativa, stesso appeal
cantabile. La stessa formula viene ripetuta con inalterata intensità su
Independent Thief, Old Time Sake, Summerlong e sulla
citata What Are You Waiting For?, diamanti grezzi nei riflessi dei quali
è impossibile non perdersi, mentre i punti di contatto con tono roots
crepuscolare e svagato del disco d'esordio vengono evidenziati al meglio
nella nostalgica Pink Emerson Radio, nel sussurro semiacustico
di Away, nella doppietta conclusiva di Copied Keys e Good
Things. |