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inserito
07/12/2005
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La storia dei Big Star ha origini lontane: nati a Memphis dall'inventiva
di Chris Bell, a cui si è aggiunta la creatività di Alex Chilton,
i Big Star rientrano tutt'ora fra le icone della scena pop Statunitense:
il loro stile abbraccia storicamente le sonorità brit (tipiche degli Who
e dei Beatles) e introduce squillanti chitarre sia garage che californiane
(riconducibili ai Byrds e ai Beach Boys). La loro discografia è sempre
stata limitata e le apparizioni tanto centellinate da poterle definire
sporadiche. Per di più, nel 1978 la morte di Bell (a soli 29 anni) frenò
ulteriormente i progetti di Chilton. Nonostante i soli tre dischi, i Big
Star costituirono un'importante fonte d'ispirazione per i R.E.M. e per
il college-pop dei primi anni Ottanta. Per Ken Stringfellow (membro
onorario dei R.E.M. e leader dei Posies), i Big Star sono stati talmente
rilevanti che si prodiga ormai da tempo nel tentativo di riportarli in
vita: questa iniziativa è decollata una dozzina d'anni fa, quando lui
e il suo amico Jonathan Auer si unirono ad Alex Chilton per un
concerto all'Università del Missouri. Quell'apparizione, datata 1993,
fu l'ultima sino all'album In Space, il nuovo ed attesissimo
lavoro a firma Big Star. Le considerazioni in merito alla qualità del
nuovo materiale registrato sono state alquanto disparate e tutt'ora, ad
un paio di mesi dalla sua uscita, le idee dei critici sono piuttosto confuse:
come al solito, c'è chi giudica In Space un album già fondamentale e chi,
al contrario, lo ha marchiato in maniera decisamente negativa. Inutile
dire che sarà il tempo a consacrare o condannare definitivamente il ritorno
dei Big Star. In tutta onestà, il disco non è un granché, forse per l'apporto
poco concreto di Stringfellow e di Auer, che non fanno altro che bissare
quanto già espresso quest'anno con i Posies.
In Space regala comunque sprazzi di ottimo power-pop misto a garage, come
in Mine Exclusively e Do You Wanna Make It: quest'ultima
presenta delle venature surf (sullo stile di Dick Dale), che vanno a compensare
alcuni flop altrimenti non trascurabili. L'album si apre con una serie
di buone tracce: Dony, con il brillante contributo delle chitarre,
che la collocano fra il garage-rock e i Beach Boys; l'eterea Lady Sweet;
l'elettro-acustica Best Chance, decisamente power-pop; infine,
Turn My Back On The Sun, che possiamo ancora ricollegare ai Beach
Boys, con l'aggiunta di un tocco Beatles-iano. Le note dolenti sono però
dietro l'angolo: la funky Love Revolution è spiazzante, così come
le bislacche Hung Up With Summer, Aria, Largo (strumentale
ed agghiacciante) e Makeover, tutte tracce oblique, dagli ornamenti
sterili; anche il rock and roll di A Whole New Thing è divertente,
ma inconsistente. Ritengo che, dopo trent'anni di inattività, Alex Chilton
avrebbe potuto e dovuto fare meglio: In Space va semplicemente ricordato
per aver segnato il ritorno (forse isolato) dei Big Star. |