Capita
raramente che un disco all'apparenza di una nudità acustica portata
all'estremo come questo, sia in realtà capace di aprirci orizzonti
così vasti e meravigliosi, spazi aperti che si stagliano davanti
ai nostri occhi in maniera così maestosa ed infinita. Nonostante
Catalpa sia uscito in gran parte da un'appartamento di San
Francisco e nonostante noi lo stiamo ascoltando, magari distesi sul sofà
di casa, in un giorno di novembre, con il grigio che domina da fuori la
finestra. Ma è proprio questo che la musica, la nostra musica,
è in grado di fare: farci conoscere artiste come Jolie Holland,
una sorta di spirito senza dimora che, partita giovanissima dal natio
Texas, è arrivata in Canada, dove insieme a Frazey Ford, Samantha
Parton e Trish Klein, ha fondato le Be Good Tanyas. Con queste ultime
ha debuttato nel 2001 in Blue Horses, il primo lavoro delle canadesi,
per poi andarsene giusto prima di Chinatown
(dove appare comunque nelle vesti di ospite), e stabilirsi proprio in
quel di San Francisco. Chissà dove la condurrà ancora il
suo spirito. D'altronde ci troviamo di fronte ad un'artista dal talento
vero e incontaminato. Lo dimostrano tante cose: basta pensare che la prima
canzone l'ha scritta quando aveva solo sei anni (si, non ho sbagliato,
sei) e che il fatto di suonare chitarra, violino e ukulele non gli impedisca
di citare fra i suoi artisti preferiti, oltre a Guthrie, Dylan e numerosi
artisti della folk music anche Nico e Syd Barrett, di cui riprende tra
l'altro un frammento in questo disco. Il fatto poi che Tom Waits e Victoria
Williams abbiano espresso pareri entusiasti sul suo lavoro la dice lunga
sulle capacità della Holland e sul fatto di aver si prodotto un
disco apparentemente suonato solo da chitarra e voce, ma con una serie
di agganci ad una modernità quasi lancinante, che ascolto dopo
ascolto cresce sempre di più in tutta la sua forza. Wandering
Angus riesce ad esserne un perfetto esempio. Inoltre il fatto che
a scritturare la ragazza siano stati quei marpioni dall'occhio lungo della
Anti, quindi Epitaph, per i quali hanno lavorato negli ultimi anni
artisti del calibro di Tom Waits e Joe Henry (con il suo ultimo strepitoso
Tiny Voices) già
la dice lunga ed è una garanzia in più per questo bellissimo
esordio, dove la meraviglia ha inizio sin dal primo pezzo Alley Flowers,
così tipicamente retrò, ma al contempo così vagamente
sognante, quasi per assurdo psichedelica, passando poi a All the Morning
Birds che ci fa attraversare l'oceano per quattro minuti e Black
Hand Blues di Hattie Hudson, una folk song degli anni venti che suona
attualissima. E lo stesso vale per tutte le altre, perchè il suo
vero segreto, come accennavo, è quello di essere dannatamente "new
time", pur rifacendosi all'old time. Un grande regalo per noi, di
quelli da tenere ben stretti fra le mani.
(Ruggero Marinello)
www.jolieholland.com
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